Attualità - 07 giugno 2025, 10:28

Un caffè (letterario) con l’attore e regista Ricky Tognazzi, nato e cresciuto tra set e ciak

Figlio dell’indimenticabile Ugo, dal quale ha imparato «Passione per il cinema e l’umiltà»

In foto Ricky Tognazzi con Silvia Gullino

In foto Ricky Tognazzi con Silvia Gullino

C’è frenesia in questi giorni, una pazza voglia di vivere che si vede nelle piazze e nelle strade, tra aperitivi in consolle e sere che sono un anticipo d’estate. Tutto questo ricorda altri momenti della nostra storia, altre smanie, altri sabati del villaggio.

Ricorda l’esplosione popolare alla fine della guerra, con il boogie-woogie dei soldati americani; o il matto ritmo dei primi anni del boom. Oppure ricorda gli anni ‘80, quelli poi banalizzati come anni della Milano da bere, declassati a tempo segnato da una gioventù un po’ vuota e fighetta, quella dei paninari, e invece erano gli anni in cui si voleva tornare a vivere dopo un interminabile decennio di piombo.

Ma soprattutto ricorda il film del 1962 di Luciano Salce che si chiama proprio “La voglia matta”, con Ugo Tognazzi insieme a una sedicenne, meravigliosa Catherine Spaak. E dedicato al padre Ugo c’è il docufilm “La voglia matta di vivere” di cui Ricky Tognazzi ha firmato la regia.

Un lungo flashback per tracciare il profilo e la carriera di uno dei più grandi volti del cinema italiano: da Velletri (città in cui Ugo Tognazzi ha vissuto gran parte della sua vita e dove adesso riposa) alla sua città natale Cremona. Dalle stelle di Negroni, nella cui azienda ha lavorato, alle stelle del cinema: Ugo Tognazzi ha collezionato più di 150 film, dal cult Amici miei, a La tragedia di un uomo ridicolo di Bernardo Bertolucci (che gli è valso la “Palma d’Oro” a cui era stato candidato per 8 volte) senza dimenticare i grandi successi internazionali de Il vizietto, Barbarella, Romanzo popolare, Il federale e tanti altri.

Per celebrare il padre, che il 23 marzo 2022 avrebbe compiuto cento anni, Ricky Tognazzi gli ha dedicato anche un libro scritto a otto mani con i fratelli Gianmarco, Thomas e Maria Sole, dal titolo “Ugo - La vita, gli amori e gli scherzi di un papà di salvataggio”.

Cinema, teatro, dove aveva iniziato e concluso la sua carriera, e televisione, nulla è mancato ad un attore e uomo, un «Poveraccio che mantiene una famiglia di ricchi», come disse durante un momento di depressione, che a detta dello stesso Ricky riusciva nonostante tutto ad essere sempre presente: «Io l’ho definito un papà di salvataggio, si vedeva poco in giro, brillava per la sua assenza soprattutto, però quando serviva, come quelle ciambelle di salvataggio che ci sono nelle barche, appariva e tu ti potevi aggrappare e lui era pronto a darti un consiglio o un non consiglio, a parlare, a rendersi disponibile e spesso a risolvere le situazioni».

Una carriera lunga una vita quella di Ricky Tognazzi: l’attore e regista, oggi sposato con Simona Izzo, ha iniziato ad amare il cinema calcando i red carpet e i palcoscenici del padre. Per poi arrivare, con pazienza e studio, a conquistare i suoi. Il suo esordio come regista risale al 1987, quando dirige “Fernanda”, episodio di “Piazza Navona”, film tv ideato da Ettore Scola. Da quel momento, inizia un’attività piuttosto prolifica come regista, passando con disinvoltura dietro e davanti la macchina da presa.

Ha ricevuto quattro David di Donatello e un Ciak d’oro, oltre che un premio al Festival internazionale del cinema di Berlino. E sogna, ancora oggi, forse anche più di prima, grandi progetti e grandi emozioni. Ma partiamo dall’inizio…

Ricky, come sei arrivato al mondo dello spettacolo?

«Diciamo che sono nato in una bottega di artisti. Mia madre ballava, mio padre faceva il comico, quindi ad un certo punto è nata l’idea di fare spettacolo, è stata una scelta naturale».

Tuo padre cosa ti ha insegnato?

«Mi ha insegnato la passione per questo lavoro e anche l’umiltà, nel senso che questo lavoro va fatto solo con la consapevolezza che nulla è regalato, bisogna avere la capacità di rinnovarsi, di inventarsi, è una continua reinvenzione».

Pensi che il cinema possa essere un buono strumento per comunicare?

«Fino adesso lo ha dimostrato, quindi penso di sì, penso che ancora oggi il cinema sia il modo migliore per raccontare emozioni, storie, per indignare, per far sognare».

Il film che guarderesti sempre?

«Che guarderei sempre nessuno, mi sa di incubo, vorrei averne almeno due o tre per fargli fare il giro. Tra i film italiani La famiglia di Scola e tra i film stranieri Toro scatenato».

A quale dei tuoi film sei più legato?

«I miei film giovanili. Ultrà e La scorta sono quelli che amo di più».

La tua gioventù e quella dei giovani di oggi, che differenze noti?

«Noi avevamo un sogno da coltivare, eravamo una generazione che ha sognato, poi magari il sogno si è infranto. La generazione dei giovani di oggi ha più problematiche nel sognare, ha degli orizzonti più chiusi, difficili da infrangere».

Come vivi i tuoi 70 anni?

«Diciamo che invecchiare è l’unico modo per poterlo raccontare».

A cosa non rinunceresti mai?

«Ad un buon bicchiere di vino».

Dove ti rifugi per ritrovare te stesso?

«Di solito mi rifugio tra le persone a cui voglio bene: mia moglie, mia figlia, gli affetti».

Hai dei rimpianti?

«Ideologicamente vorrei non averne, quindi diciamo che se ce li ho, li nascondo, non te li vengo a raccontare (ride, ndr)».

Cosa consiglieresti ai giovani che vogliono intraprendere una carriera artistica?

«Tanta caparbietà. Se hai voglia di fare l’artista devi sapere che vai incontro a mille sconfitte, quindi armati di buona volontà. Vai avanti solo se dentro c’è il fuoco che arde, altrimenti non ce la farai mai».

Sogno nel cassetto?

«Continuare a fare con tranquillità il mio lavoro, cioè raccontare storie. Questa è la cosa a cui tengo di più nella mia vita».

Grazie Ricky, in bocca al lupo per tutto!

Silvia Gullino

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