Giovedì 2 ottobre, alle 21 in punto, centinaia di ospedali italiani si illumineranno insieme per Gaza. Non con fari potenti o installazioni scenografiche, ma con la cosa più semplice e fragile che esista: una candela, una torcia, lo schermo acceso di un cellulare. Una piccola luce che, moltiplicata per mille, può diventare un faro.
Il flash mob nazionale si chiama “Luci sulla Palestina – 100 ospedali per Gaza” e nasce dalla rete #DigiunoGaza, che da mesi riunisce medici, infermieri e cittadini convinti che non si possa restare indifferenti davanti a quello che loro definiscono, senza giri di parole, un genocidio. L’obiettivo è ricordare le oltre 60 mila vittime palestinesi degli ultimi due anni e i 1.677 operatori sanitari uccisi, di cui saranno letti i nomi collettivamente.
Tra i presìdi che parteciperanno, c’è anche l’ospedale “Michele e Pietro Ferrero” di Verduno. Non è la prima volta che i suoi sanitari decidono di esporsi: già il 28 agosto scorso, in occasione della giornata nazionale del Digiuno per Gaza, un centinaio di medici e infermieri aveva rinunciato al pasto e si era fatto fotografare davanti all’ingresso del nosocomio, fuori dall’orario di servizio per non interferire con le attività assistenziali.
Da allora la mobilitazione non si è spenta. Il 19 settembre alcuni professionisti di Verduno hanno organizzato un seminario aperto alla cittadinanza dal titolo eloquente: “La distruzione dei sistemi sanitari negli scenari bellici contemporanei”. Un incontro che ha visto, tra gli altri, l’intervento di Martina Marchiò di Medici Senza Frontiere, rientrata da Gaza, che ha raccontato l’impossibilità di curare senza elettricità, senza farmaci e sotto bombardamenti continui.
A coordinare il seminario il dottor Martino Bosco e la dottoressa Enrica Bar. “Questo movimento trasversale ha la primaria finalità di accendere una luce sulla carneficina in atto, sostenendo la popolazione palestinese che ne è vittima, tenendo con questo accesa anche la luce della speranza per un'umanità degna di questo nome”, aggiunge il dottor Bosco.
Durante lo stesso seminario, l’anestesista Jonathan Montomoli ha mostrato i numeri di un disastro che non sono più soltanto statistiche, ma identità cancellate: 720 attacchi documentati a strutture sanitarie, 34 ospedali distrutti, 186 ambulanze colpite. L’aspettativa di vita, ha spiegato, è crollata di 35 anni in un solo anno: più del Ruanda durante il genocidio.
E ha aggiunto una domanda che resta sospesa come una diagnosi senza cura: "Vogliamo essere ricordati per aver parlato o per essere rimasti in silenzio?".
Gli operatori di Verduno, come tanti colleghi italiani in più di 200 ospedali, hanno scelto la prima strada.
Domani sera accenderanno la loro piccola luce davanti all’ospedale, insieme a decine di colleghi e cittadini. Un gesto simbolico, certo. Ma è proprio nei simboli che spesso si annida la forza di una comunità.





