La Corte d’Assise d’Appello di Torino ha condannato Mario Roggero a 14 anni e 9 mesi per l’uccisione di due rapinatori e il ferimento del terzo durante la rapina del 28 aprile 2021 nella sua oreficeria di Grinzane Cavour. La decisione, che riduce di poco la pena di primo grado (17 anni), conferma però il punto centrale già affermato dal tribunale: le condizioni della legittima difesa sono assenti.
Il cuore della vicenda giudiziaria rimane infatti l’attualità del pericolo e la proporzionalità della difesa messa in atto. Secondo la ricostruzione accolta dai giudici, sia di primo che di secondo grado, al momento degli spari che hanno provocato la morte di Spinelli e Mazzarino i tre malviventi erano usciti dal negozio e cercavano di fuggire. Dunque non si configurava più un pericolo in concreto e attuale, requisito indispensabile per l’applicazione dell’articolo 52 del Codice Penale né tantomeno dello "stato di grave turbamento" introdotto dalla riforma dell’istituto approvata dal legislatore nel 2019, sotto il governo M5S-Lega, che comunque non legittima la reazione verso un aggressore in fuga.
IL REQUISITO DEL "PERICOLO CONCRETO E ATTUALE"
Nonostante questo quadro, però, Roggero ha imputato il verdetto alla "mancanza di coraggio" dei giudici, insistendo sulla propria versione (LEGGI QUI): "Ho agito per legittima difesa, per salvare la mia famiglia". Una narrazione, questa, che però contrasta con le risultanze processuali e che, in due gradi di giudizio, non ha trovato riscontro oggettivo. La dinamica balistica e le testimonianze avevano infatti evidenziato l’assenza di un pericolo reale al momento degli spari. Nei video, infatti, si vede il gioielliere correre dietro a Mazzarino, Spinelli e Modica, il superstite.
IL RICORSO IN CASSAZIONE
Più prudente, invece, la posizione del difensore, l’avvocato Stefano Marcolini, che attende le motivazioni per valutare il ricorso in Cassazione. Un eventuale terzo grado potrà incidere soltanto su possibili vizi di motivazione o violazioni di legge, mentre la ricostruzione dei fatti, già approfondita in due sedi, difficilmente potrà essere rimessa in discussione.
LA SOLIDARIETÀ DI SALVINI
Sul caso è intervenuto anche Matteo Salvini, che ha parlato di "ingiustizia" e di necessità di rendere "più chiara" la normativa sulla legittima difesa. Una reazione politica che semplifica una vicenda giuridica molto più articolata: il diritto penale non tutela la “difesa a ogni costo”, ma solo la reazione proporzionata e necessaria di fronte a un pericolo attuale. Elementi questi, che per i giudici, qui non erano presenti.
I CONFINI DEL DIRITTO
La vicenda di Mario Roggero non è soltanto un caso giudiziario o politico: è una storia che parla alla pancia del Paese e che divide in due fazioni l’opinione pubblica: chi lo assolve in nome dell’istinto di difesa e chi, al contrario, richiama la responsabilità penale del gioielliere. Ed è proprio in questa frattura, dove l’emotività collettiva si scontra con i confini imposti dal diritto, che affonda l’eco mediatica del caso, perché spesso la natura umana e la legge penale non parlano la stessa lingua, e la maggior parte non riesce a farsene una ragione.
LE SCELTE PROCESSUALI DELL’IMPUTATO
Quindi, che cosa succederà adesso? Partiamo dalle scelte processuali dell’imputato.
Mario Roggero ha scelto il dibattimento, optando quindi per il percorso processuale “classico”. Una scelta che, verosimilmente, si fondava sull’aspettativa di poter far leva sulla sensibilità dei giudici popolari — sei degli otto componenti della Corte d’Assise — il cui voto ha lo stesso peso di quello dei due magistrati togati. In altri termini, l’imputato confidava che il giudizio di chi non è un tecnico del diritto e, quindi, di “un non addetto ai lavori” potesse tradursi in un riconoscimento della sua condotta come reazione comprensibile, se non addirittura giustificata, e quindi in un’assoluzione. Così non è stato.
IL RITO ABBREVIATO
Va ricordato, però, che Roggero disponeva di un’alternativa: il rito abbreviato. Ma secondo l'avvocato Stefano Marcolini, come illustrato nei diciassette motivi d’appello presentati alla Corte d'Assise, questa possibilità sarebbe stata negata all'imputato già in sede di udienza preliminare in primo grado quando il difensore precedente, il legale Dario Bolognesi, aveva fatto richiesta di rito abbreviato condizionato a una consulenza tecnica.
LA RICHIESTA DI PENA IN PRIMO GRADO
Ciononostante, la richiesta del pubblico ministero in primo grado al dibattimento - 14 anni di reclusione - ricalcava esattamente la pena che sarebbe verosimilmente stata chiesta anche in sede di giudizio abbreviato. Il magistrato aveva infatti individuato una pena base di 21 anni, operando la riduzione per le attenuanti generiche e successivamente gli aumenti per la continuazione , giungendo alla riduzione di un terzo: sette anni in meno, ossia proprio lo sconto di pena del rito abbreviato. In quest’ottica, si potrebbe sostenere che la Procura avesse, di fatto, esteso a Roggero un trattamento equivalente a quello di un rito alternativo.
L’ULTERIORE SCONTO DI PENA
Non solo: qualora una condanna identica (14 anni) fosse stata inflitta nell’ambito di un abbreviato, l’imputato avrebbe potuto beneficiare anche della disciplina introdotta dalla riforma Cartabia, che prevede una riduzione ulteriore di un sesto per gli imputati che rinunciano all’impugnazione.
In tal caso, i 14 anni sarebbero scesi a circa 11 anni e 8 mesi.
PERCHE’ 17 E NON 14
La Corte d’Assise di Asti ha invece deciso per una condanna a 17 anni, discostandosi dall’impostazione del pubblico ministero. La ragione principale risiede in una diversa valutazione dell’attenuante generica, applicata in misura meno favorevole rispetto al calcolo operato nella richiesta di condanna da parte della Procura, lo stesso ufficio che ha riconosciuto al gioielliere l’attenuante della provocazione.
"VERDETTO A VITA"
La Corte d’Assise d'Appello, riservandosi 60 giorni per il deposito delle motivazioni, ha riformato parzialmente la sentenza di primo grado, riducendo la condanna a 14 anni e 9 mesi di reclusione.
Mario Roggero, nelle sue dichiarazioni, ha parlato della sentenza di Corte d’Assise d’Appello come di un “ergastolo”.
ROGGERO PUÒ FINIRE IN CARCERE?
“Le vere vittime siamo io e la mia famiglia - ha detto al termine dell’udienza- da quel giorno viviamo nel terrore e vediamo il pericolo dietro ogni angolo. Il verdetto è a vita perché ho 72 anni”.
La domanda, quindi, è la seguente: ma se la Corte di Cassazione dovesse confermare la condanna e non rilevare vizi, Mario Roggero finirà in carcere? In linea teorica sì.
L’età anagrafica dell’imputato, nel caso di specie quasi 72 anni, non costituisce una causa ostativa all’esecuzione della pena detentiva. L’ordinamento prevede ipotesi di differimento della pena o di detenzione domiciliare “umanitaria” esclusivamente per motivi di salute, ai sensi dell’art. 147 Codice Penale e dell’art. 47-ter, comma 1-ter, sull’ordinamento penitenziario, quando lo stato fisico del condannato risulti incompatibile con il regime carcerario. In assenza di patologie gravi e attestate, l’età non rileva.
E, quando questa triste vicenda sarà definitivamente consegnata agli archivi giudiziari, resterà comunque qualcosa di irrisolto: perché, ancora una volta, una parte dell’opinione pubblica griderà all’ingiustizia subita dal gioielliere, mentre un’altra invocherà il primato della legge come unico freno possibile alla violenza. Ed è questo il punto cieco in cui giustizia “umana”, fatta di emozioni, paure e percezioni di legittima difesa, e la giustizia del diritto, che invece pretende proporzione e responsabilità anche nei momenti più drammatici si scontrano.
Una frattura che questa vicenda non ricompone: al più, la mette ancora una volta davanti ai nostri occhi, ricordandoci quanto sia difficile accettare una sentenza quando il bisogno di giustizia morale non coincide con la giustizia legale.





