In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11,2-11).
Oggi, 14 dicembre, la Chiesa giunge alla III Domenica di Avvento detta Gaudete (Anno A, colore liturgico viola o rosaceo).
A commentare il Vangelo della Santa Messa è Pierluigi Dovis, referente della Caritas Diocesana di Torino.
Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole per accendere le ragioni della speranza che è in noi.
Eccolo, il commento.
A dieci giorni dal Natale, la liturgia ci sollecita a confrontarci con un’esperienza che spesso sperimentiamo. Quando i problemi ristagnano e continuano a rimanere all’orizzonte scatta quasi sempre in noi la reazione della disillusione. E se qualcuno o qualcosa sembra introdurre una possibilità di soluzione, magari in “zona Cesarini”, reagiamo con forte disincanto. È la stessa situazione che il popolo dell’Antico Israele viveva ai tempi della vicenda storica di Gesù. Erano passati secoli da quando la promessa della terra dove scorre latte e miele era stata affidata a Mosè, eppure vari regnanti assiri, babilonesi e – per ultimo – anche romani sembravano aver cambiato lo spartito dell’opera. Molti profeti, dopo severi richiami alla conversione, avevano riacceso speranze, ma niente di nuovo sotto il sole in una sorta di immobilismo divino.
Giovanni il Battista vive in questo clima e, nonostante avesse percepito che in Gesù finalmente le cose sarebbero cambiate mentre era nel grembo della madre, ora si sente ancora scettico e bisognoso di una conferma. Esattamente come il nostro cuore inquieto – come scriveva Sant’Agostino – che non è in pace fino a che non si può tuffare nella certezza che viene dall’alto. «Sei tu?». Sei tu colui che mi dona vita, che mi rende sereno come bimbo in braccio alla mamma, che mi consegna un senso a quanto vivo, che mi risolve i grandi dilemmi esistenziali? Mi posso finalmente fidare? È vero che siamo in Avvento, tempo dell’attesa, ma sono finite le illusioni, sono terminati i giorni dell’aspettativa snervante che mette a dura prova la resistenza della mia speranza? Non è un sentire banale, perché ne va del futuro e, dunque, della determinazione del fine verso cui iniziare o continuare a navigare.
Come per il popolo eletto, anche davanti ai nostri occhi sono comparsi e continuano ad arrivare profeti che pretendono di indicarci la strada verso il vero, il bello, il santo. Tutti elementi che non agevolano, ma anzi creano ancora più confusione. La risposta di Gesù alla domanda del cugino introduce anche noi oggi a trovare la soluzione: «I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata una buona notizia». Intorno a noi, forse anche dentro noi stessi, possiamo realmente vedere e udire la presenza di segnali che confermano che davvero qualcosa è cambiato. Certo, non tutti i ciechi tornano a vedere o non tutti gli zoppi saltano come atleti, ma in tante vite germoglia il seme della liberazione e della rigenerazione: persone che si riconciliano, donne e uomini che si aprono ad accogliere gli altri e quanto loro sta capitando, solitudini riempite, esclusioni ricomposte, odio sconfitto, passato dimenticato, lutto che non distrugge. Tutte cose che umanamente non sarebbero possibili se non ci fosse qui ed ora una Presenza che agisce. Bisogna solo pulire bene le lenti dei nostri occhiali e non essere superficiali ma, con atteggiamento contemplativo, andare a fondo e al di sotto di ciò che capita per scoprire quella Presenza all’opera. Constatazione che fa scaturire in noi la gioia, come in questa domenica la liturgia ci fa vedere attraverso il colore rosa dei paramenti, attraverso cui l’oscurità dell’attesa si sta lentamente tramutando nella luce che sarà Natale. Il Battista capisce e diventa, senza tante parole, annunciatore del tempo di salvezza.
Se anche noi comprendiamo diventiamo, a nostra volta e per il nostro tempo, precursori e messaggeri inviati per incentivare tutti a riconoscere i segni della Presenza. Attenzione: non a fare di noi stessi i segni, ma a riconoscere ciò che assume in Dio lo statuto del segno. Così eserciteremo coscientemente il carattere della profezia che abbiamo ricevuto in dono nel giorno del nostro Battesimo. E tutto sarà vissuto nell’attesa della Sua venuta.





