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Bra e Roero | 27 maggio 2019, 08:44

Addio a Vittorio Zucconi. Ci lascia in eredità tanti insegnamenti e questa intervista

Alla giornalista Silvia Gullino disse: "Devo essere io il primo cliente di me stesso e trovare interessante quello che scrivo”

Addio a Vittorio Zucconi. Ci lascia in eredità tanti insegnamenti e questa intervista

Il mondo del giornalismo piange la scomparsa di uno dei suoi figli più illustri. Qualcuno lo chiamava Boss. Qualcuno Direttore. Per me era semplicemente il Maestro

Vittorio Zucconi era modenese, italiano e americano. Faceva il professore universitario americano, il giornalista italiano e, a volte, si trasformava in uno scrittore italo-emiliano con ascendenze toscane. Ha vissuto e viaggiato in molti paesi in tutto il mondo: Giappone, Russia, Cuba, Israele, Belgio, Francia, Messico, Filippine, Usa... Classe 1944, è stato una delle firme più note di Repubblica e direttore dell’emittente Radio Capital fino all’anno scorso. Di lui ci restano tanti insegnamenti, quella curiosità e attenzione alle cose e alla gente che lo ha accompagnato fino all’ultimo istante della sua vita. Onesto e generoso, si è spento a Washington domenica 26 maggio, lasciandoci in eredità questa intervista che trasmette i valori profondi della sua umanità professionalità.


Crede nella fortuna?


“Sì, perché fino adesso sono stato un uomo molto fortunato, lo posso dire. Però, credo anche nell’approfittare della fortuna. Cioè, capita nella vita, più spesso di quanto noi crediamo, di avere la palla-gol, come si dice nel calcio. Il problema è sapere se riesci a mettere dentro la palla. Non tutti ci riescono. Molti attribuiscono agli altri le proprie sfortune, ma forse sono loro che non hanno saputo cogliere l’occasione. Diciamo che io ho avuto la fortuna di cogliere le occasioni che mi sono state date. Le rivelo, inoltre, che sono un uomo molto superstizioso (ride, ndr)”.


…Beh! Allora quali sono i suoi gesti scaramantici?


“Una quantità inverosimile. Non li sto ad elencare. Uno su tutti? Una notte, rientrando a casa in automobile con mia moglie, rimasi fermo mezz’ora in una strada buia, perché mi aveva attraversato la strada un gatto nero. Adoro i gatti, ma aspettai che arrivasse un’altra macchina e passasse. Mia moglie diceva che rischiavamo molto di più restando fermi in quella strada al buio, ma a me non importava. Come vede, credo nella fortuna”.


Già da piccolo ha sempre pensato di fare ciò che ha realizzato da grande?


“Ho fatto il giornalista, perché nella vita non sapevo fare niente. Avevo scoperto soltanto che riuscivo a prendere dei buoni voti in italiano, perché facevo piangere la mia insegnante: scrivevo delle cose che la commuovevano. Allora mi dissi che scrivere funzionava. Incominciai a scrivere sul giornale del Liceo Parini di Milano, che frequentavo. Mio padre, che era un grande giornalista (Guglielmo Zucconi, ndr), cercò disperatamente di sconsigliarmi questo mestiere. Così, incominciai a farlo di nascosto da lui. Dicevo di recarmi all’Università, ma in realtà andavo a fare l’abusivo presso il giornale “La notte” di Milano. Ad un certo punto, quando passai ad un altro giornale e mi assunsero, non potevo più nasconderlo. Mio padre ci rimase malissimo, temeva che non mi laureassi più. Per tranquillizzarlo, dovetti laurearmi, scoprendo che il giornalismo era la mia strada. Prima si parlava di fortuna. La più grande fortuna nella mia vita è stata quella di fare ciò che volevo e mi piaceva”.


Ha fatto il giornalista, ma è laureato in…?


“Lettere e Filosofia con indirizzo storico. Mi sono laureato in storia del Risorgimento, con una tesi sull’anarchia nell’Ottocento dopo il Congresso di Vienna (sorride, ndr). Il giornale mi mandò a Bruxelles ed il mio relatore della tesi, cogliendo l’occasione, mi disse di svolgere delle ricerche d’archivio sugli anarchici italiani cacciati dai vari Regni. Andai e feci le ricerche sulla figura di Filippo Buonarroti. In realtà, produssi una tesi giornalistica di duecentosessanta pagine e la consegnai al professore. Il correlatore era una persona non molto abbondante nei voti. La media mi sarebbe valsa un novantacinque. Invece, mi diede centodieci e lode, con grande stupore di tutti. Disse che, dopo tante tesi lette, finalmente ne aveva trovata una che lo aveva divertito”.


La più grande soddisfazione avuta dal lavoro?


“Tra le tante cose che ho scritto c’è un libro di letture per le Scuole Medie Inferiori che si chiama “Stranieri come noi”. Il titolo è volutamente polemico, poiché siamo tutti stranieri. Quando mi dicono: “Mia figlia che non voleva leggere niente, leggendo il suo libro ha apprezzato il piacere di leggere”, oppure “Mio figlio si è messo a leggere, grazie al suo libro”, mi sento bene. Significa che nella mia vita, nella montagna di cose che ho scritto, alcune orribili, ho lasciato qualche segno positivo dentro qualcuno, ho fatto apprezzare a qualcuno la lettura. Quella è una soddisfazione”.


Qual è lo stato di salute della radiofonia nel nostro Paese?


“Generalmente buono. Gli ascolti sono stabili, se non in leggero aumento. Resiste bene anche all’assalto di Internet, perché la radio stabilisce un rapporto personale. E, fin quando le automobili non si guideranno da sole, le persone non guarderanno la televisione in macchina e ci saranno blocchi stradali, la radio continuerà a sopravvivere”.


Anche in radio si fanno strada trasmissioni sopra le righe. Che cosa ne pensa?


“Da quando sono esplose le cosiddette radio libere, come si chiamavano quando ero giovane e finì il monopolio della Rai, ognuno segue la strada che vuole. Certo, c’è una ricerca sempre del massimo degli ascolti, che non si fanno con i concerti di Beethoven o con la lettura della Divina Commedia, ma alla fine c’è posto per tutti”.


È un uomo di radio, ma qual è il film che non si stanca mai di rivedere?


“Amarcord di Fellini, perché racconta un’Italia che appartiene un po’ alla mia regione, io sono emiliano. In quel paese, che molti pensano sia Rimini, ma è invece una località immaginaria e in quella famiglia, riconosco le mie nonne, la mia casa e tante cose della mia infanzia. Quindi, mi ritrovo in tanti aspetti dell’Italia che non c’è più, ma che è stata parte di me. Amarcord è un film che potrei quasi recitarle a memoria”.


Quali sono gli amici che sono rimasti dalla gioventù?


“Beh, non tantissimi. Sono una persona che non ha mai avuto molti amici, sono un po’ un lupo solitario. Tendo ad essere fedele alle persone alle quali mi affeziono. In particolare, c’è una persona con cui ho frequentato anni di Università, una mia amica coetanea. Mentre uno dei miei migliori amici del Liceo se n’è andato. Una delle fregature di diventare vecchi è quella di vedere andare via i propri amici. Viene da dire: “Ma guarda, era così giovane!”, in realtà ti accorgi che non lo era”.


Un oggetto caro che le è importante?


“Sono le fotografie dei miei nipotini. Soprattutto di quando erano piccoli e consideravano il nonno come un genio. Ora sono grandi e si sono accorti che il nonno non è un genio come pensavano anni prima. Ogni tanto le guardo, osservo come erano piccolini ed è sempre un ricordo di grande tenerezza”.


Qual è l’ultima cosa che fa prima di andare a dormire?


“Spererei di addormentarmi, dal momento che sono un insonne. Faccio molta fatica ad addormentarmi e svegliarmi. Sono un uomo della notte. Ultimamente, metto le cuffiette e guardo sul televisore dei film o telefilm che ho precedentemente scaricato. Mi addormento mentre li guardo, perché se non mi distraggo penso: “Adesso non dormo”. Così, l’ultima cosa è l’ultimo fotogramma di questi programmi”.


Nel suo futuro che cosa vede?


“Spero di vedere le cose che sto facendo adesso. Dico sempre che sono troppo vecchio per andare in pensione. Bisognerebbe andare in pensione da molto giovani, il vero errore della riforma Fornero è quello. Mio papà sosteneva che si dovrebbe stare in pensione fino ai quarant’anni e poi incominciare a lavorare. Almeno uno è in pensione quando se la può godere la vita. Penso di continuare fino all’ultimo a fare ciò che sto facendo adesso, se qualcuno me lo lascerà fare”.


Che cosa consiglia a chi vuole vivere il mondo della radio?


“Di fare un altro mestiere, perché molti sono i chiamati... Tante persone credono di saper fare la radio e poi, di fronte allo scrivere, incespicano. Mentre in televisione non tutti riescono ad apparire bene, perché lì è tutta apparenza. La radio è relativamente più facile: prendi un microfono, ti metti davanti e chiacchieri. Però ce ne sono tantissime, la concorrenza è spietata, i soldi sono pochi. Si fa molta fatica a reggere gli ascolti, non sai bene come inseguirli. Vale un po’ come per tutte le cose: se hai la voglia di farla, falla. Tuttavia, io dico sempre: “Attenzione, perché siete come i bambini a dieci anni che giocano al pallone e pensano di essere tutti dei Del Piero o dei Totti” … Pochi sono gli eletti, la maggior parte restano a giocare a calcetto coperto, quando avranno quarant’anni, durante il fine settimana”.


Ha un motto?


“No, ho un principio che ho sempre cercato di applicare facendo la radio e, soprattutto, quando scrivo. Mi devo divertire ed interessare a quello che scrivo. Se mi annoio io a scrivere, figuriamoci quanto si divertirà la persona che deve pagare per leggermi! Quindi, devo essere io il primo cliente di me stesso e trovare interessante il prodotto”.


Zucconi è sempre Zucconi. Ci mancherà.

Silvia Gullino

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