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Sanità | 03 aprile 2020, 17:21

In prima linea sul fronte del Covid: il drammatico (e preoccupato) racconto dei medici di famiglia della Granda

Nella giornata segnata dalla morte di Dominique Musafiri, il segretario provinciale della Fimmg Luciano Bertolusso descrive le difficoltà in cui da inizio emergenza operano i 450 medici di base al servizio delle Asl Cn1 e Cn2: "Un contesto totalmente impreparato a un’emergenza di questo tipo"

Luciano Bertolusso, sommarivese, segretario provinciale della Fimmg

Luciano Bertolusso, sommarivese, segretario provinciale della Fimmg

Se nell’ostica guerra che ormai da due mesi l’Italia sta combattendo contro il nemico invisibile arrivato dalla Cina il primo accorgimento doveva essere quello di proteggere le prime linee, ebbene questo, almeno in Piemonte, per molti non è stato fatto.

E’ quanto reclamano da giorni le organizzazioni nazionali e regionali di medici e infermieri. Ed è la tesi che sostiene anche il dottor Luciano Bertolusso, 62enne di Sommariva Perno, segretario provinciale della Federazione Italiana Medici di medicina Generale (Fimmg), coi suoi circa 300 associati il sindacato più rappresentativo degli oltre 400 operatori che nella provincia Granda sono quotidianamente impegnati negli ambiti della medicina di assistenza primaria (medici di base), della continuità assistenziale (l’ex guardia medica) e dell’emergenza territoriale (parte dei colleghi impegnati nel servizio 118).

In una giornata segnata dalla tragica morte del medico di base braidese Dominique Musafiri, il segretario cuneese della Fimmg non può avere precisa contezza del numero di quanti, tra i suoi colleghi in provincia, in questo momento stiano pagando pegno alla loro scomoda posizione sul fronte della lotta al Covid-19.
"Per rispondere seriamente a questa domanda – ci spiega – dovrei poter avere dei numeri, un accesso a dati. Questi numeri purtroppo non ci sono, e qui tocchiamo una delle prime criticità con le quali come categoria ci dobbiamo confrontare in questa emergenza. Manca un sistema informativo regionale organizzato, come fa difetto una comunicazione efficace tra le strutture interne alle singole Asl e l’esterno, col nostro livello e con quello della continuità assistenziale. Queste e altre informazioni dovremmo poterle avere in tempo reale. E invece non ci sono, arrivano in modo estemporaneo, non c’è un posto al quale possa rivolgermi. Ho ricevuto mail dove mi si informava dell’uscita dalla quarantena di persone che nemmeno sapevo fossero in isolamento…. . Purtroppo la verità è che stiamo operando in un contesto disorganizzato, totalmente impreparato a un’emergenza pandemica. Questo l’hanno già detto altri più titolati di me, ma sono 15 anni che l’Oms ci avverte che arriverà una pandemia, abbiamo continuato a far finta di niente. Adesso siamo di fronte a una situazione purtroppo largamente prevedibile, nella quale le nostre strutture sanitarie hanno dimostrato tutta loro incapacità. La stessa Protezione Civile ha dato prova, a livello regionale e locale, di momenti di disorientamento e incompetenza francamente preoccupanti".


I COLLEGHI CONTAGIATI

Fatalmente approssimativi sono quindi anche i bollettini sullo stato di salute dei colleghi al fronte. "Per quanto riguarda il territorio dell’Asl Cn2, a parte il povero Musafiri, le positività dovrebbero essere relativamente poche, sempre a quanto ne so. Ci sono un paio di colleghi in isolamento, ma che stanno bene, mentre un ex medico di famiglia in pensione, ora dirigente sanitario in una Rsa, è stato ricoverato. Anche sulla Cn1 purtroppo non abbiamo numeri precisi, ma numericamente i positivi dovrebbero essere meno di una decina. Ma ripeto, sono numeri che vanno presi con beneficio d’inventario, frutto di comunicazioni arrivate in ordine sparso. Sia nell’Asl Cn1 che nella Cn2 alcuni colleghi sono stati sottoposti a tampone, altri no. Il criterio iniziale col quale si era partiti voleva che il personale sanitario andasse testato quando aveva avuto un contatto certo con persona dalla diagnosi certa. Per qualcuno questo approccio ha funzionato, per altri no".


IL TEMA DEI TAMPONI

Un tema che richiama quello, molto discusso, dei tamponi, del loro utilizzo – o mancato utilizzo – su stretta o larga scala, e infine della maggiore appropriatezza ed efficacia delle strategie scelte dalle diverse Regioni per tentare il contenimento del contagio. "Se in Piemonte abbiamo sbagliato qualcosa lo devo ancora capire, anche perché la mia impressione è che la situazione sia differenziata da provincia e provincia: c’è chi li ha fatti e chi no, quasi sempre a seconda della disponibilità. Anche dopo gli ultimi proclami, con la promessa di sottoporre ad accertamenti tutti i sanitari, mi sembra che nulla sia cambiato: sono passati giorni e dei tamponi non ho visto traccia. Il problema è che, se ai proclami non seguono fatti, in questo frangente rischiamo di pagarla dolorosamente".


PARTONO LE "USCA"

Mentre da inizio emergenza i medici della Granda sono costretti a operare senza adeguate forniture dei dispositivi di protezione individuale, i famosi Dpi, tra i passi invece in via di compimento, sebbene con ritardo, c’è la costituzione, da parte delle Asl cuneesi, delle Usca, le unità speciali di continuità assistenziale: gruppi di medici che, adeguatamente attrezzati, possano andare a domicilio a visitare i pazienti già diagnosticati o fortemente sospetti di essere positivi al Coronavirus. "Siamo stati i primi a proporle – spiega Bertolusso – e le aziende sanitarie sono infine andate in questa direzione. Alba è già partita da una decina di giorni, mentre la Cn1, dopo un ulteriore rinvio questa settimana, sempre a causa della mancanza di dispositivi di protezione, ne ha annunciato il via per i prossimi giorni, con 4-5 postazioni sparse nel suo ampio territorio. Per noi si tratta di un supporto molto importante, perché ci consente di meglio gestire la routine e riservare la dovuta attenzione ai casi critici".


ARMI SPUNTATE

"A parte l'insufficiente fornitura dei Dpi – riprende Bertolusso – sulla gestione domiciliare abbiamo comunque a che fare con limiti invalicabili. Non possiamo prescrivere tamponi, solo il Sisp (i Servizi di Igiene Prevenzione Salute Pubblica dell’Asl, ndr) lo può fare, anche nel caso di un paziente fortemente sospetto non si fa il tampone, a meno che non ci sia un 'contatto certo', condizione che è praticamente impossibile da ricostruire. E al contempo abbiamo scarsissime possibilità terapeutiche… ad esempio non possiamo prescrivere l’ossigenoterapia domiciliare, lo deve fare il pneumologo: oggi è venerdì, lei immagini di visitare oggi un paziente e poi di andare alla ricerca di un pneumologo che faccia questa prescrizione".

"Poi c’è tutto il discorso dei farmaci, che devono essere autorizzati dall’Aifa o da un’autorità competente: anche in questo ambito noi non sappiamo nemmeno più a chi rivolgerci. Si parla di farmaci sperimentali, alcuni utilizzati in Cina, ma finché non ci sono le autorizzazioni anche su questo fronte operiamo con le armi spuntate".

LA POLVERIERA DELLE CASE DI RIPOSO

Infine il tema delle case di riposo, "una bomba che sta esplodendo – per il segretario dei medici Fimmg –, considerato il fatto che qui convive la parte più fragile della popolazione". "Contesti nei quali, se non sono stati adeguatamente blindati, è sufficiente l'ingresso di una persona portatrice sana e inconsapevole e si rischia il peggio. Una zona grigia, che verosimilmente rischia di non entrare nemmeno nei conteggi ufficiali della pandemia. Un’altra ragione per guardare con molta diffidenza a quei numeri: non riflettono la realtà, come non la riflettono per i contagiati".

Ezio Massucco

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