- 08 novembre 2011, 15:58

Il Rotary Club Saluzzo si è ritrovato per discutere sui "cold case" italiani

Con l’intervento di Roberto Testi, il medico legale maggiormente noto ai criminologi di tutta Italia

Il relatore della serata e (a destra) il presidente del Rotary Saluzzo Luciano Zardo

Il relatore della serata e (a destra) il presidente del Rotary Saluzzo Luciano Zardo

Li chiamano “cold case”, casi freddi, omicidi irrisolti che giacciono nei faldoni dei tribunali per anni e anni, alimentando congetture e retrospettive di cronaca. Ma da quando la tecnica ha messo nelle mani degli investigatori la potente arma della decifrazione del DNA, la storia è cambiata. Molti “cold case” sono tornati d’attualità, portando alla scoperta e alla condanna di criminali che fino a quel momento dormivano sonni tranquilli.

Una materia che ha ispirato rappresentazioni televisive di successo e che ieri sera è stata l’oggetto di un’affollata conferenza del Rotary a Saluzzo, con l’intervento di Roberto Testi, il medico legale maggiormente noto ai criminologi di tutta Italia, protagonista dietro le quinte delle indagini più scabrose degli ultimi decenni, dall’omicidio della contessa Vacca Agusta a quello di Cogne, dall’assassinio di Marta Russo alla follia criminale di Erika e Omar.

Nella sua carriera ha eseguito più di duemila autopsie, di cui 150 per omicidio. Collabora con la Fbi americana e numerose università internazionali, convinto che “non esistono delitti perfetti, ma solo indagini imperfette”. Prova ne è l’omicidio di Simonetta Cesaroni in via Poma a Roma nell’agosto 1990. Un “cold case” che Testi, presentato dal presidente del Rotary di Saluzzo Luciano Zardo, ha rievocato in dettaglio, dimostrando come si sia giunti dopo vent’anni alla identificazione di elementi scientifici giudicati determinanti nella condanna dell’ex fidanzato della vittima.

Una vicenda che ha dell’incredibile, con depistaggi, false testimonianze, coincidenze (come il sangue sui pantaloni del portiere del palazzo Pietrino Vanacore o il bigliettino scritto e lasciato per sbaglio da un carabiniere sulla scena del delitto) che avevano clamorosamente condotto gli inquirenti più volte fuori strada, fino all’analisi scientifica, nel 2007, di alcuni reperti ormai “dimenticati” nei cassetti degli uffici giudiziari. Da qui l’individuazione del profilo genetico di Raniero Busco e via via la nuova ricostruzione dei fatti e la correzione degli errori giudiziari del passato. Non sono mancati, nel dibattito, gli interrogativi sui rischi del prevalere della scienza sui metodi giudiziari tradizionali. Senza contare che la guerra delle superperizie può avvantaggiare chi ha più soldi da spendere e non necessariamente gli innocenti.

r.g.

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