Durante la mia infanzia in bianco e nero, il panettone era di un solo tipo: con l’uvetta ed i canditi. Come molti bambini, i canditi non mi piacevano per niente e li scartavo con un lavoro di fino. E non è che crescendo abbia poi cambiato tanto idea. Quei pezzettini li sentivo duri, un gusto leggermente piccante, estraneo alla dolcezza dell’uvetta che invece si sposava alla perfezione con la pasta tenuemente zuccherina. Sublimi, invece, quelli ricoperti con le mandorle, da piluccare una per una, con i polpastrelli deliziosamente appiccicaticci.
Nei miei ricordi in bianco e nero, una gita a Milano, la patria del panettone, voleva dire visitare necessariamente il negozio della Motta in piazza Duomo. E comprare la versione mignon che mi piaceva pensare fosse stata pensata apposta per i bambini, cioè per me.
Ogni zio, nonno, parente, amico o conoscente era abbinato ad una marca specifica. Zio A. , ad esempio, regalava solo quello della X, la zia T. solo quello della Y. Il criterio della scelta era dettato, ovviamene, dalla presunta migliore bontà del proprio acquisto. Il mio palato infantile non riusciva a coglierne nessuna differenza, ma era obbligatorio lodare smoderatamente la marca X con lo zio A. ed elogiare tutta la bontà della marca Y, a scapito certo del panettone X, con la zia T., tanto non c’era verso che potessero cambiare idea.
Crescendo, e con me il mondo stava colorandosi, dai toni smorzati e sbiaditi tipo vecchia Polaroid, a quelli sempre più vivaci degli anni Ottanta, anche i panettoni sono cambiati radicalmente. Sopravvivono quelli tradizionali, con uvetta e canditi, ma sono stati affiancati anche da quelli che i canditi non li contemplano proprio. “Senza canditi”, il panettone perfetto, certo la versione “bastarda” rispetto alla tradizionale, non da puristi. Perché se il candito era stato messo nell’impasto del primo dolce sfornato dal cuoco Toni, secondo la leggenda, ai tempi di Ludovico il Moro, il suo motivo lo avrà avuto.
Ma il “senza canditi”, secondo me, resta l’unico che veramente possa gustare appieno. Ma sono poi arrivati, aimé, anche i panettoni-nonpanettoni. Quelli che hanno dentro di tutto: lo zabajone, il cioccolato, il liquore, i marron glacè, il ketchup, la maionese (sì, questi due non esistono, ma poco ci manca). Possono ancora fregiarsi del nome originale del dolce? Non si sono trasformati piuttosto in qualcos’altro di alieno, di estraneo, una novità solo tanto per cambiare, per adeguarsi alla mutevolezza del presente, dove tutto deve essere più complicato, o speciale, o diverso, o eccentrico? Eppure, le tante sagre dedicate al panettone che stanno proliferando recentemente, hanno visto trionfare pasticceri che infarciscono l’impasto con gli ingredienti più disparati, segno che, ai più, la nuova deriva “panettonesca” piace, e molto.
Invece l’ultima tendenza di questi ultimissimi anni, soprattutto per i cake design, è quella di lasciare il dolce tradizionale come base per costruire elaborazioni fantastiche e spettacolari, con scene natalizie, pupazzetti che riproducono i cartoni animati, paesaggi innevati. Qui, oltre al gusto, si aggiunge anche una meraviglia per lo sguardo di chi acquista il prodotto.
Il pandoro, invece, che dovrebbe piacermi assai, in quanto non contiene canditi, ma neppure l’uvetta, mi è sempre apparso come un intruso, un outsider sulla tavola natalizia. E’ un dolce semplice, troppo semplice, per una festa che dovrebbe, o vorrebbe nelle intenzioni, apparire come opulenta. Se ne sta lì, un po’ insignificante, col suo zucchero a velo in testa, tanto per darsi un tono meno scialbo, senza riuscire nel suo intento più di tanto.
Ma se c’è una cosa che può accomunare panettone e pandoro, quella è la pubblicità. Caratteristiche di uno spot televisivo tipo: musichetta natalizia, tradizionale o creata ad hoc – quest’ultima si rivela sempre la scelta peggiore; i protagonisti devono essere i bambini, seconda scelta i nonni, terza scelta la famiglia tradizionale al completo; sono tutti buonissimi e felici; le sceneggiature (appunto) peccano sempre di originalità. E’ inoltre indispensabile riproporre la pubblicità per anni, sempre uguale, o con una piccola, insignificante variante, che non cambia nulla, e utilizzare gli stessi protagonisti dello spot per decenni.
Per chi volesse poi cimentarsi nella difficile arte del mastro dolciario e cucinarsi il vero panettone tradizionale, ecco qui come prepararlo. L’esperta cuoca Federica Gelso Giuliani lo propone nel suo blog, dalla ricetta del celebre pasticcere Iginio Massari. Sebbene, come avverte lei stessa “preparare il Panettone di Natale non è cosa semplice, occorre essere estremamente precisi e rispettare alla lettera l’ordine degli ingredienti”, però provare a cimentarsi in questa impresa è una tentazione non indifferente.





