- 19 febbraio 2017, 09:57

Hacksaw Ridge: la fede in guerra contro la guerra per la fede

Si può sacrificare se stessi in nome della propria fede ma si riesce a farlo con chi si ama? Diceva Goethe:”L’incendio d’una fattoria è una tragedia, la rovina della Patria solo una frase”

Hacksaw Ridge: la fede in guerra contro la guerra per la fede

Nel 1945 a soli ventitre anni Desmond T. Doss si arruola come assistente di sanità nell’esercito degli Stati Uniti e dopo aver completato l’addestramento prende parte sul fronte del Pacifico alla terribile battaglia di Okinawa ricevendo, come primo obiettore di coscienza della Storia, la medaglia d’onore del Congresso per aver salvato fra le 50 e le 100 persone (la cifra ufficiale sarà di 75).

“La Battaglia di Hacksaw Ridge”, diretto da Mel Gibson e sceneggiato da Knight e Schenkkan, mette in scena questo spaccato della Seconda Guerra Mondiale dividendosi essenzialmente in due parti: nella prima assistiamo alla giovinezza di Desmond nella rurale Virginia fino alla tormentata decisione di arruolarsi, poco dopo suo fratello, per servire la patria, questo contro la volontà del padre, reduce della Grande Guerra e ormai alcolizzato per i traumi relativi ad essa e mai metabolizzati.

Si tratta d’un didascalico affresco un po’ troppo prolisso che pecca di manierismo nel ricalcare i grandi classici del genere (tipo “Full Metal Jacket” nel capitolo sull’addestramento) e che fa accendere nello spettatore la spia della retorica americanista ma quando nella seconda parte si entra nel vivo del teatro di guerra a scene d’inaudita violenza, stile l’incipit di “Save Private Ryan”, si alternano sprazzi lirici degni de “La Sottile Linea Rossa”.

Desmond Doss, che nel film ha la faccia pulita di Andrew Garfield, è cresciuto secondo la fede degli avventisti del settimo giorno e cerca di coniugarla col rispetto delle gerarchie militari ma quando gli viene chiesto d’imbracciare un fucile si rifiuta di farlo scatenando le ire dei suoi superiori e le rappresaglie dei futuri commilitoni che scambiano la sua coerenza per vigliaccheria. La peggiore accusa che gli verrà rivolta, valendogli (quasi) la Corte Marziale, non sarà quella di non ubbidire agli ordini ma di anteporre i propri valori all’incolumità del plotone al punto che uno dei suoi compagni proferirà la frase destinata ai rivoluzionari d’ogni tempo, da Cristo a Gandhi:” Credi di essere migliore di noi?”

Quando lui replicherà di non sentirsi affatto superiore a loro e di volerli proteggere come assistente medico traccerà la tremolante linea che divide i valori assoluti da quelli relativi e che nel caso specifico si riassume nelle domande:” il comandamento “non uccidere” vale anche in guerra o può subire una deroga?” e ancora:” la Ragion di Stato conta più della fede individuale?”

Ciò che accadde sulla scarpata di Maeda nel 1945 sembra dar ragione al partito (idealista) dei valori assoluti ma è altrettanto vero che il Nazismo non sarebbe mai caduto per mano d’un esercito di volontari medici, per quanto armati di Bibbia e motivati fino al martirio.

“La Battaglia di Hacksaw Ridge” condivide coi precedenti film di Gibson il culto della violenza e qui la critica si divide in chi considera gratuita e talvolta oscena l’esibizione dei particolari più truculenti e in chi invece, fedele ad una storiografia il più possibile adesa ai fatti, promuove tale ostentazione al rango di grande arte, nemica dell’astrazione e della catarsi. La riflessione diventa ancor più complessa se la violenza ha a che fare con la religione (basti pensare a cos’ha rappresentato per la filmografia cristiana un’opera come “The Passion”) e in questa pellicola lo scrupoloso Mel inserisce la non-violenza d’un obiettore nello scenario più violento di sempre e cioè la Seconda Guerra Mondiale.

L’elemento cristologico è ossessivamente declinato nell’immaginario del regista sin dalla crocifissione di William Wallace in Braveheart e Hacksaw Ridge non fa eccezione, basti pensare al dubbio che coglie il protagonista sul  Golgota nipponico prima di percepire le voci dei feriti che poi porterà in salvo, dubbio che ricalca l’evangelico “padre perché mi hai abbandonato?” o la suggestiva scena in cui gli verrà lavato via il sangue del miracolo appena compiuto attraverso un fiotto d’acqua quasi battesimale.

Il tallone d’Achille del film è il manicheismo da videogame che vede il Bene a stelle e strisce trionfare sul Male assoluto del Sol Levante ma se si inquadra la vicenda non da un punto di vista storico ma come universale parabola sulla fede in guerra ecco che il più grande limite dell’opera diventa il suo valore aggiunto anche perché, senza fare spoiler, la parte più romanzata dell’epopea di Desmond è la prima mentre il resto del biopic è assolutamente coerente con quanto accaduto e le voci degli anziani reduci intervistati sul finale lo confermano appieno.

Andrew Garfield riesce a dare spessore ad un personaggio altrimenti unidimensionale come tutti gli uomini posseduti da un’idea che li trascende e lo fa grazie al chiaroscuro del dubbio, umanissima spezia della fede, e alla spina dell’amore che non esiterà ad accantonare in funzione dei suoi ideali ma che lo aiuterà a restare in vita come una sorta di surrogato terreno della divinità.

La potenza visiva de “La Battaglia di Hacksaw Ridge” è indiscutibile ed è la sua coralità a donare colore ad un racconto altrimenti ieratico e distante ma sorge spontanea una domanda:” se un ubriaco in un vicolo avesse aggredito sua moglie Desmond sarebbe riuscito a non imbracciare il fucile che non imbracciò contro i giapponesi?” Quando la tragedia non è più dato collettivo ma dolore personale la non-violenza resiste o la deroga che non si concede alla guerra si ammette invece per una vendetta individuale?

Si può sacrificare se stessi in nome della propria fede ma si riesce a farlo con chi si ama? Diceva Goethe:”L’incendio d’una fattoria è una tragedia, la rovina della Patria solo una frase”.

In conclusione il film di Gibson è un’opera intensa (e le interpretazioni di Vince Vaughn e Hugo Weaving la impreziosiscono ancora di più), a maggior ragione in un periodo storico in cui non una guerra ma la guerriglia di religione sta alimentando lo spettro del terrore con la (pres)unzione d’un monoteismo armato e iconoclasta, miope e sanguinario che fa della violenza non un rito di passaggio o un doveroso onere storico ma una vertigine monomaniacale e suicida.

“La croce fa da bersaglio” dicono a Desmond invitandolo a togliere la fascia della Croce Rossa dal braccio perché i giapponesi ricevono un premio particolare per ogni medico abbattuto e come non leggere in quest’affermazione la perfetta rappresentazione di quanto sta accadendo da qualche anno nelle principali capitali europee?

De Mazan

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