- 04 aprile 2020, 17:00

Sospesi, lontani ma prossimi: Dylan Dog, "La zona del crepuscolo"

La vera potenza di “La zona del crepuscolo” è che si tratta meno di una storia horror classica e più di un dramma lungo più di 90 pagine in cui si esplora l’alienazione della condizione umana, e le fragilità dell’uomo in quanto essere mortale e “temporizzato”

Un frame da "Dylan Dog - Vittima degli eventi", film indipendente liberamente tratto dal fumetto stesso

Un frame da "Dylan Dog - Vittima degli eventi", film indipendente liberamente tratto dal fumetto stesso

“La zona del crepuscolo” è una storia a fumetti edita dalla Sergio Bonelli editore nel 1987 come parte della serie regolare “Dylan Dog”, scritta dall’ideatore e curatore Tiziano Sclavi e disegnata dal duo di artisti Montanari&Grassani.

L’indagatore dell’incubo londinese più amato dagli italiani si ritrova impelagato in una nuova indagine a Inverary, un paesino di campagna in cui ogni giorno sembra letteralmente identico a tutti gli altri; Dylan, chiamato all’azione dalla bella Mabel Carpenter, scoprirà il terrificante segreto del paesino e il vero significato della “zona del crepuscolo”.

La crisi sanitaria (che inevitabilmente, presto o tardi, si tradurrà in una crisi del sistema economico nazionale) attualmente in corso regala piccoli e grandi scenari di sgomento, e questa purtroppo è ormai una realtà quotidiana praticamente per tutti.

Ma particolarmente curioso è il caso di una coppia lesbica di Taranto, genitori (ovviamente per lo stato italiano non riconosciuti formalmente) di due bambini e unita con rito civico da circa tre anni. È vecchia di un anno fa la richiesta al Comune di Taranto di trascrizione anche del cognome della seconda madre sull’atto di nascita dei due bambini (biologicamente concepiti, chiaro, dall’altra donna), in modo da rendere ufficiale anche legalmente la maternità condivisa, ma finora si è rivelato tutto un nulla di fatto.

Una condizione che l’arrivo e l’avanzata del Coronavirus hanno ovviamente aggravato ancora di più: la madre “non ufficiale”, nel caso dovesse succedere qualcosa ai bambini, che tipo di responsabilità potrebbe reclamare?

Ancora una volta, insomma, ci troviamo davanti a situazioni di “immobilità” ben più gravi di quelle legate alle semplici disposizioni per la quarantena. Dove le persone rischiano di trasformarsi in ectoplasmi, spettri di ciò che sono, erano e sono sempre state: l’attenzione è (più che giustamente) destinata ad altri aspetti della vita e della quotidianità… ma questo non rende più affrontabili le piccole crisi personali di ciascuno di noi.

Una sensazione di sospensione, di distacco dalla vita reale, che i tristi protagonisti de “La zona del crepuscolo” - straordinario e iconico numero 7 della serie regolare originale di Dylan Dog – conoscono bene, ma che probabilmente non comprendono appieno. Ricordo bene la mia prima lettura dell’albo in questione. Da ragazzino, Dylan Dog lo leggevo in libreria, in raccolte gigantesche di alcuni numeri specifici, e “La zona del crepuscolo” non solo mi ha sconvolto a livello visivo e concettuale, ma senza dubbio ha contribuito allo sviluppo della mia affezione per l’horror, la fantascienza e in generale le “storie di paura”: la primissima vignetta, con il primo piano del bibliotecario dal cui volto si staccano pezzi di pelle senza lasciare alcuna traccia di sangue non credo riuscirò mai a dimenticarlo.

Ma la vera potenza di “La zona del crepuscolo” è che si tratta meno di una storia horror classica e più di un dramma lungo più di 90 pagine in cui si esplora l’alienazione della condizione umana, e le fragilità dell’uomo in quanto essere mortale e “temporizzato”; chi abita a Inverary prima o poi sceglie deliberatamente di entrare nella “zona”, di diventare sostanzialmente immortale per poter continuare in eterno con la propria non-vita.

Un albo, insomma, che ci ricorda quanto spesso visitiamo o rimaniamo ospiti della “zona” anche noi nella nostra vita (che lo si decida di propria volontà oppure portati dalle circostanze straordinarie di un momento come quello attuale)… e, soprattutto, quant’è importante invece riuscire a resistere alla tentazione di farlo. Per ritrovare se stessi, completi ma fallibili.

redazione

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