L’annuncio, inatteso, delle dimissioni da segretario nazionale del Pd di Nicola Zingaretti ha lasciato sgomenti i dirigenti cuneesi del partito.
Dal segretario provinciale, Flavio Manavella, ai parlamentari Chiara Gribaudo e Mino Taricco, al consigliere regionale, Maurizio Marello, non emergono commenti se non quelli di circostanza. “Vogliamo capire, vogliamo vederci chiaro”, dicono all’unisono.
L’unico a spingersi appena oltre è il sindaco di Saluzzo, Mauro Calderoni, che da sempre cerca di farsi interprete del “partito degli amministratori”. “Zingaretti – commenta a caldo - era partito bene come elemento di decompressione delle spinte correntizie, ma poi si è perso nei tatticismi: mai coi 5 Stelle, Conte a casa, intergruppo coi 5S e guai a chi tocca Conte. Nel mezzo – aggiunge - la solita distanza siderale dei vertici dalle questioni quotidiane delle persone, delle periferie, degli enti territoriali e qualche passo falso di troppo anche nell’unica capacità generalmente riconosciuta al Pd ovvero il saper fare amministrativo. Anche lì – annota - troppe incertezze e qualche errore”.
Ora i dirigenti cuneesi vogliono capire e in tutti le modalità con cui il segretario nazionale, che ha annunciato via facebook di voler lasciare, ha suscitato sconcerto.
Tutti, in definitiva, si chiedono se si tratti di una mossa tattica – per quanto dirompente – in vista dell’assemblea nazionale che si riunirà il 13 e il 14 marzo.
Nicola Zingaretti – lo ricordiamo - era stato eletto segretario del Partito Democratico nel 2019 con un’ampia maggioranza e oggi, distanza di due anni esatti, annuncia con toni veementi di volersene andare di fronte al bombardamento continuo che arriva dalle correnti.
Era il 3 marzo 2019 quando, al termine di un iter congressuale durato quasi un anno, si celebrarono le primarie che videro trionfare il governatore del Lazio con il 66% dei voti. Zingaretti si presentava allora con la mozione Piazza Grande e lo slogan "Nicola Zingaretti, per cambiare". Suoi avversari erano i renziani Roberto Giachetti e Anna Ascani, che si presentavano in tandem (12%), e la lista del segretario uscente, eletto in assemblea dopo le dimissioni di Matteo Renzi, Maurizio Martina (22%).
L’assemblea nazionale la prossima settimana sarà chiamata a decidere fra un congresso delle idee, sulla collocazione e l'identità del partito, e un congresso sulla leadership e, quindi, sul segretario stesso.
La nascita del governo Draghi sta dunque terremotando i partiti, facendo emergere tutte le contraddizioni di questa convulsa stagione politica. L'unico elemento certo ad oggi è che con le dimissioni di Zingaretti termina anche la gestione unitaria e nel partito, da tempo balcanizzato dopo l’uscita di Renzi e Calenda, si apre una stagione di tutti contro tutti. Con conseguenze dagli esiti assolutamente imprevedibili.





