Attualità - 31 marzo 2021, 10:31

Per bar e pubblici esercizi ristori che sanno di beffa: "Tra Conte e Draghi siamo a un ventesimo del fatturato"

Nelle parole di Alessandro Monchiero, contitolare dello storico Caffè Boglione di Bra, la delusione per quanto atteso dal Dl Sostegni: "Imprenditori per nostra scelta, ma qui si rischia il disastro sociale"

L'esterno dello storico locale di via Cavour a Bra

L'esterno dello storico locale di via Cavour a Bra

A non andargli giù è quello che sembra un diabolico artificio aritmetico, quel "diviso dodici" a fine calcolo sfuggito ai più, in un meccanismo per altri versi chiarissimo. Un dettaglio per nulla banale che un’informazione nazionale forse accondiscendente rispetto ai primi passi del nuovo premier non ha adeguatamente sottolineato, nella comunicazione con la quale ha dato conto della misura che segna l’ultimo capitolo della vicenda ristori.

Il tema è la nuova tranche di contributi a fondo perduto che il Governo Draghi assegnerà a imprese e partite Iva sulla base delle domande presentate a partire da ieri, martedì 30 marzo (230mila le domande nella prima giornata), con l’intenzione di offrire un supporto alle categorie più colpite dai lockdown. Si chiamavano "ristori" nei Dpcm messi in campo da Conte. Sono divenuti "sostegni" nel decreto legge che il suo successore ha dedicato al capitolo, stanziando 11 miliardi diretti però a una platea ora allargata a 3,3 milioni di aziende e partite Iva.  

Il risultato sarà quello di bonifici che nelle tasche di professionisti e imprese porteranno una media di 3.700 euro, come si comprende leggendo tra le righe una misura che i più distratti hanno invece compreso poter arrivare a rifondere sino al 60% della perdita di fatturato registrata nell’intero 2020 rispetto al 2019.   

Tra quanti quel dettaglio l’hanno invece ben colto c’è Alessandro Monchiero, da dodici anni contitolare – insieme al socio Enrico Bonura – dello storico Caffè Boglione di via Cavour a Bra, luogo di ritrovo per generazioni di giovani e meno giovani cresciuti ai piedi della Zizzola: realtà che, come centinaia di bar, osterie e locali della nostra penisola, sta vivendo una stagione che dire nera sa di eufemismo.

"Diciamo che finora avevamo sopportato questo terremoto con un certo fatalismo – ci racconta –. Abbiamo tentato di non lamentarci. Ci sono i morti e, sul fronte del lavoro, c’è anche chi sta messo pure peggio di noi. Come i lavoratori dello spettacolo, per fare un esempio a noi vicino. E nel fallimento delle strategie finora adottate per contenere la pandemia ci sono le responsabilità di tanti, tra i quali anche quelle di diversi nostri colleghi. Per tutte queste ragioni ci eravamo finora astenuti dall’ingrossare le fila di chi spara nel mucchio del malcontento. Ma quando abbiamo capito che, ancora una volta, da Roma avremmo ricevuto solamente una minima frazione di quanto perso, e letto commenti che al danno aggiungevano la beffa, ecco, la misura è parsa colma".

Monchiero non ha remore a tirarli fuori, quei conti. "Sommando quest’ultimo aiuto ai precedenti arriveremo ad aver ricevuto meno del 5% del nostro fatturato annuale precedente alla pandemia, mentre posso assicurare che la perdita è di molte volte superiore. Finora abbiamo ricevuto tre tranche da meno di 5mila euro e ora ci apprestiamo a richiederne una quarta della stessa entità. Il totale non arriva a 20mila euro, insomma. Poi è vero che rispetto ai Dpcm sono cambiati i criteri di calcolo, che non si confronta più aprile con aprile, ma un anno con l’altro, superando alcune precedenti sperequazioni tra attività. E che ora si calcola la 'perdita media mensile', ma il risultato non cambia, perché di quella perdita viene ristorata una percentuale (tra il 20% e il 60%, a seconda del fatturato, ndr), ma divisa per dodici. Cosicché il sostegno copre comunque soltanto un mese, come i precedenti, mentre nell’ultimo anno di mesate 'intere' ne abbiamo lavorate cinque, a dir tanto".

Nel frattempo ci si ingegna, si cerca di fare il possibile, si prova a lavorare nel rispetto delle regole, sperando che tutti facciano la propria parte con altrettanta coscienza.
"Col primo lockdown avevamo proposto un asporto di bottiglie. Con le ultime chiusure abbiamo deciso di provarci e di fare un delivery che in realtà serve, oltre a far lavorare il nostro cuoco, a darci l’occasione di incontrarci, sentirci vivi, a tenere una sorta di contatto coi nostri avventori. In pratica è da novembre che non lavoriamo, e siamo a fine marzo. Abbiamo saltato le feste di Natale, abbiamo fatto un febbraio parziale, ma già la chiusura alle 18 per noi è fatale, visto che normalmente l’80% del fatturato lo facciamo dopo le dieci di sera. Abbiamo fatto quattro buoni pranzi nelle domeniche di febbraio, comunque in una situazione contingentata, con 20 coperti dove in condizioni normali ne avremmo avuti 40. Poi di nuovo chiusura e delivery, che va a giornate, ma vale comunque pochi euro. E intanto assistiamo alla confusione, al modo bizzarro con cui si continua ad aprire e a chiudere, ai supermercati affollati, ai toelettatori per cani che presto torneranno a lavorare ma le parrucchiere no, alla gente che si ritrova a gruppi in casa".



La conclusione è comprensibilmente amara.
"Adesso intorno a metà aprile ci arriverà questo nuovo rimborso, di un mese. Ci pagheremo qualche bolletta, quote di affitti, mentre le altre spese corrono, noi non ci siamo presi nulla e i quattro o cinque dipendenti a chiamata che ci sono rimasti – perché altrettanti si sono ingegnati a fare altro o addirittura trasferiti – aspettano le briciole di una cassa integrazione che arriva male e a singhiozzo. Va bene che a Bra, rispetto ad altre piazze, godiamo ancora di un tessuto sociale 'armonizzante', in qualche modo ce la si fa. E comunque, quando si apre un’attività si mette in conto il rischio d’impresa, non ce l’ha ordinato il dottore, di farlo. Noi peraltro ci siamo ricaduti inaugurando a fine luglio un nuovo locale, la birreria Staubrau, alla cui apertura stavamo lavorando dal 2019, da prima che arrivasse questo tsunami. Abbiamo fatto un altro mutuo, nuovi debiti, aperto un locale che ovviamente era pensato per lavorare la sera. Per cui non credo che un imprenditore debba essere aiutato a tutti i costi, ma senza un minimo di sussistenza la prospettiva che ci attende non è tanto e solamente quella di fallimenti personali, o di lasciare il campo ai capitali rapaci che già bussano alle nostre porte, ma il rischio di un disastro sociale. A questo, credo, bisognerebbe pensare, quando si ragiona di ristori".

Ezio Massucco

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