- 04 settembre 2021, 13:05

Paura e responsabilità - Twin Peaks: Fire Walk With Me

Ma quale soluzione potrebbe davvero offrire, il giornalismo? E avrebbe davvero senso farlo, poi? La deresponsabilizzazione dei lettori – dei membri della società in senso lato - , che sperano che le lettere che appaiono sui loro computer o smartphone possano svelargli il trucco più rapido ed efficace per dare un senso al caos

David Lynch in "Fire Walk With Me"

David Lynch in "Fire Walk With Me"

“Twin Peaks: Fire Walk With Me” (“Fuoco cammina con me”) è un lungometraggio di produzione franco-statunitense del 1992, scritto da David Lynch, Mark Frost e Robert Engels, e diretto dallo stesso Lynch. Prequel della serie tv “Twin Peaks”, riporta in scena diversi dei suoi personaggi e tematiche principali, prima fra tutte Laura Palmer e il suo misterioso omicidio; allo stesso tempo, però, inserisce – ovviamente in maniera caotica e surreale – elementi che verranno successivamente ripresi dall’autore nella terza stagione della serie televisiva. Una vera e propria esperienza crossmediale.

Credo un po’ tutti, nel corso soprattutto di questi ultimi due anni, hanno sperimentato la cosiddetta “news avoidance” ovvero la tendenza a evitare le notizie giornalistiche principalmente per ragioni di stress. Un’eventualità complessa da sostenere vista l’ampiezza praticamente infinita della rete - il luogo in cui di fatto si è spostato il traffico di notizie - , ma anche comune: si sceglie di non informarsi piuttosto che di rimanerne stressati, anche solo dalla pura mole oltreché dal contenuto.

Ad agire sulla “news avoidance” sono fattori personali come demografia, atteggiamento politico, preferenze e percezione della libertà di stampa nel proprio paese. Ma grandi eventi storici come la pandemia da Covid-19 o le recenti notizie di cronaca estera legate alla situazione in Afghanistan certamente incidono in maniera netta e fondamentale. E il rischio dettato dalla “news avoidance” è quello di un’umiliazione del ruolo dell’informazione e, quindi, di una riduzione del tasso di democratizzazione della società.

Ma che centra questa inclinazione sociale con una delle perle cinematografiche del maestro David Lynch, tassello importante nella definizione di quell’assoluto capolavoro che è l’intera esperienza di “Twin Peaks”?

Perché gli eventi raccontati nelle tre stagioni e nel film – oltre a una gran quantità di altre opere d’intrattenimento più o meno accessorie – vengono spesso associate dal punto di vista tematico al tentativo di una mente sofferente di nascondere il proprio stesso dolore, di creare una realtà in cui questo dolore possa essere razionalizzato, combattuto e sconfitto.

Da qui, gli spoiler. Laura Palmer è una giovane donna spezzata, corrotta e dannata, costretta a vivere con un padre abusivo – che finisce per ucciderla - e una madre sostanzialmente cieca e menefreghista, uno stress e una sofferenza semplicemente incomprensibili per lei; per questo, la sua mente crea una spiegazione soprannaturale all’oscurità che alberga dentro il padre e, più in generale, nelle vite assolutamente banali del resto degli abitanti della città in cui vive. Una realtà parallela in cui esiste anche Dale Cooper, il suo “principe azzurro” senza macchia, l’uomo che potrà salvarla – anche solo a livello spirituale – dal Male puro.

Ma quando dietro la narrazione c’è David Lynch ogni realtà, per quanto assurda e onirica, è anche concreta quanto qualunque altra. E così il “piano” di Laura Palmer incontra una miriade di ostacoli, compreso il suo enigmatico, ottundente e spaventoso finale.

Laura, insomma, non solo preferisce non vedere la verità – un po’ come sua madre, che finisce per diventare letteralmente l’incarnazione del Male – ma cerca anche di costruirsene una nuova, in cui il padre è posseduto da uno spirito maligno e non è “soltanto” un uomo violento e repressivo con turbe mentali ed emotive. E dietro la “news avoidance” c’è proprio questo, la paura di vedere la verità. Di percepire il mondo per il gran casino ingiusto e spesso senza senso che è davvero.

In molti sostengono che il giornalismo di oggi debba abbandonare l’insensata battaglia per l’attenzione con le fonti d’intrattenimento puro – che ha perso, sta perdendo e perderà inevitabilmente ancora – e concentrarsi piuttosto sul proprio core business realizzando una nuova versione di se stessa, più costruttiva, snella, ecologica, che offra soluzioni invece di porre i problemi.

Ma quale soluzione potrebbe davvero offrire, il giornalismo? E avrebbe davvero senso farlo, poi? La deresponsabilizzazione dei lettori – dei membri della società in senso lato - , che sperano che le lettere che appaiono sui loro computer o smartphone possano svelargli il trucco più rapido ed efficace per dare un senso al caos. Quando invece dovrebbero guardarlo in faccia, questo caos, e sviluppare soluzioni per conto loro: non siamo abbastanza adulti per fare la seconda, o per farla davvero, e quindi ce la prendiamo con chi ci aiuta a fare la prima.

Simone Giraudi

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