Attualità - 01 luglio 2022, 08:01

L’addio di Alba al suo procuratore: "Una figura di grande magistrato, la città gli riservi un pubblico ricordo"

Duomo cittadino gremito per i funerali di Luigi Riccomagno, 77 anni, oltre quaranta dei quali trascorsi per servire la giustizia. Dall’avvocato Ponzio, amico e avversario in tanti processi, un appello all’Amministrazione cittadina

L’addio di Alba al suo procuratore: "Una figura di grande magistrato, la città gli riservi un pubblico ricordo"

"Sarebbe opportuno che Alba organizzasse un momento di pubblico ricordo per onorare la memoria di questo grande magistrato. Un uomo che durante tutta la sua carriera ha saputo portare in alto il nome della nostra città rappresentando nel suo ambito un’indubbia eccellenza"

Questo l’appello che l’avvocato albese Roberto Ponzio rivolge all’Amministrazione cittadina a poche ore dalla cerimonia con la quale, lunedì 27 giugno, nel duomo di Alba, una folla di ex colleghi e amici ha affiancato la famiglia – la moglie Etta e la figlia Adriana – nell’ultimo saluto a Luigi Riccomagno, 77 anni, spentosi due giorni prima all’ospedale "Santa Croce" di Cuneo dopo una lunga malattia. 

Un’amicizia nata sui banchi del liceo, quella tra il legale e l’ex procuratore capo del Tribunale di Alba, in pensione dal 2014 dopo oltre quarant’anni di una carriera conclusa da avvocato generale presso la Procura di Torino: un incarico prestigioso, riservato ad appena 27 magistrati in tutta Italia.

"Ci conoscemmo sui banchi del 'Govone'. Io in IV Ginnasio, lui era già in III Liceo, insieme a compagni come il dottor Verri, il dottor Giacosa e il cardiologo Matta. Ma allora il Classico albese contava appena cinque classi, un centinaio di persone in tutto. Un contesto nel quale era quindi possibile fraternizzare anche a dispetto della differenza di età. Già allora Gino, come tutti avremmo proseguito a chiamarlo anche in seguito, era un primo della classe, oltre che una persona gentile, sorridente, garbata, rispettosa. Tutte doti che continueranno ad accompagnarlo non soltanto nel privato, ma anche nell’importante carriera che avrebbe presto imboccato"

Dopo la laurea in Giurisprudenza all’Università di Torino Riccomagno fece della sua passione per il diritto il faro di un percorso professionale iniziato come docente, assistente in Diritto Penale col professor Marcello Gallo, uno dei più insigni penalisti dell’epoca. 

"Luigi fu la quintessenza del magistrato e anche il naturale erede di una famiglia votata a questa carriera – riprende Ponzio –. Era un magistrato il fratello della madre, come anche lo zio paterno Domenico, che fu presidente del Tribunale di Genova e poi procuratore generale. E come il fratello Giorgio, presidente di Corte d’Appello. Luigi non fu certo da meno e intraprese quella stessa strada sapendo unire le sue doti di sapienza, razionalità, passione e spirito di servizio". 

Gli inizi, come procuratore, arrivarono negli anni ’70, da sostituto a Mondovì. Poi si trasferì ad Aosta, dove si trovò a gestire casi importantissimi come lo scandalo che investì il casino di Saint Vincent, in una vicenda che peraltro ebbe a coinvolgere anche il procuratore capo di quella sede. O come la tragedia della funivia di Champoluc, che nel 1983 provocò undici morti, un fatto di cui colpiscono le analogie con la più recente tragedia del Mottarone. 

"Da quel momento – prosegue Ponzio nel suo racconto – potè aspirare a posti importanti, ma ritenne di dover tornare nella sua città e di fare il sostituto procuratore ad Alba. Ricoprì quel ruolo comportandosi sempre con grandissimo equilibrio, e non soltanto nell’ambito della giurisdizione penale. Per sei anni fu infatti anche pretore, sapendo dimostrare competenza ed equilibrio nelle due funzioni, requirente e giudicante. Come procuratore ci trovammo su fronti opposti in numerosissimi casi, prima a Mondovì e poi ad Alba, ma fu un 'avversario' di cui non si potevano non apprezzare la correttezza, la schiettezza, la lealtà e la perfetta conoscenza degli atti processuali". 

Quasi naturale una riflessione in merito alla recente campagna referendaria sulla separazione delle carriere e sui poteri della magistratura.

"Fu un modello esemplare di pubblico ministero, dimostrando la bontà dell’adagio secondo il quale sono meglio una cattiva legge e un buon giudice che il loro contrario. Fece un esercizio sempre prudente ed equilibrato dei poteri coercitivi, come ebbe sempre il massimo rispetto della personalità e dignità degli indagati. Totale la sua lealtà anche con riguardo all’obbligo di non tacere l’emergere, nell’ambito delle indagini, di elementi a vantaggio dell’imputato, come pure nei rapporti con la stampa e i mezzi di informazioni, verso i quali sapeva essere sobrio e riservato: nulla trapelava dalle sue indagini, mentre su 'L’Espresso' potevamo leggere le trascrizioni integrali degli interrogatori che a Milano si tenevano sullo scandalo del metanolo. La sua porta era sempre aperta, anche se questo non equivaleva a dire che ogni istanza fosse accolta"

"Pur vivendo in un piccolo centro, tenne sempre un comportamento di vita ritirato e austero, anche con importanti sacrifici personali. Ma quello che della sua figura non si può non rimarcare - conclude Roberto Ponzio – è la sua operosità: un magistrato che lavorava per due e sotto il quale mai un fascicolo cadde in prescrizione. Col suo lavoro quotidiano contribuiva alla credibilità, all’efficienza e al buon funzionamento della giustizia e quando diede l’addio alla professione lo fece con un testamento morale nel quale espresse riconoscenza non soltanto ai colleghi magistrati, ma all’intera classe forense, con la quale seppe sempre mantenere rapporti corretti pur nel rispetto dei reciproci ruoli. Anche nel congedarsi seppe confermare la statura di grande magistrato che lo aveva accompagnato per l’intera sua esistenza. Una figura che la nostra città ha il dovere di ricordare pubblicamente per il lustro che in decenni di un’onorata carriera ha saputo darle".

Ezio Massucco

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