Curiosità - 20 aprile 2023, 18:08

Scrivere, svelare l'anormalità in quel che sembra banale: Nicola Brizio racconta le sue dieci 'Interurbane notturne'

Ultima fatica letteraria del giovane scrittore braidese ma prima incursione nel mondo dei racconti brevi: "Ho smesso di guardare il vicino di casa come elemento folkloristico e ho iniziato a considerarlo spaventoso"

Nicola Brizio

Nicola Brizio

Chi ha mai provato a farlo in maniera il più possibile seria lo sa bene: scrivere narrativa è un’operazione solitaria. Serve concentrazione, disciplina, capacità di critica, tendenza all’introspezione, per non parlare di un posto in cui farlo e di un dispositivo – di qualunque tipo – con cui farlo. Solo alla fine ci si apre ‘all’altro’, un lettore diverso da noi stessi, e spesso è un’esperienza strana e traumatica.

A volte, però, in questo viaggio solitario si ha la fortuna di incontrare qualche altro viaggiatore. Quello che è successo a me con il braidese Nicola Brizio: ‘galeotta’ la rivista letteraria ‘La nuova carne’, un suo racconto particolarmente folgorante e la scoperta di provenire entrambi dalla ‘provincia Granda’.

Già da qualche anno ci incontriamo – a Fossano, a metà strada tra le due macrozone del cuneese – per parlare di quel che abbiamo scritto, di cosa stiamo scrivendo e di quel che vorremo scrivere. L’ultimo di questi incontri ha avuto al centro, oltre una birra piccola e un caffè, ‘Interurbane Notturne’: il suo lavoro più recente edito da Leucotea edizioni (casa editrice sanremese che centomila anni fa ha pubblicato anche il mio ‘Tatuaggi Color Pelle’, ma soprattutto i suoi ‘L’ossessione della forma’ e ‘Michele Antagonista’, rispettivamente del 2019 e del 2021). Una raccolta di dieci racconti che uscirà ufficialmente il 4 maggio prossimo e che Nicola presenterà al prossimo Salone del Libro di Torino, ma che io ho potuto leggere in anteprima. Così da poterne parlare, ecco.

Già il fatto che sia una raccolta di racconti, dopo quattro romanzi – a quelli di prima bisogna aggiungere il lavoro per Funambolo edizioni, ‘Fame plastica’, il suo esordio – è abbastanza curioso. “Mi sono trovato ad avere tante idee che non avevo il coraggio di mettere in un romanzo, idee concentrate che non riuscivo a dilatare ma allo stesso tempo non volevo buttare via – ha spiegato Nicola – e quindi l’idea di base era, semplicemente, ‘per vedere l’effetto che fa’. Ma è anche questione di gusto personale: ho amato davvero molto racconti di scrittori, grandi, più famosi per i romanzi, come Hemingway e Bolaño”.

Anni fa, la prima infornata di letture dopo una lunga pausa mi ha visto avvicinarmi ai racconti di Charles Bukowski, che sono stati letteralmente il volano per tornare a leggere con costanza – racconta ancora - . Leggo molte riviste letterarie ma in generale sono più appassionato alla forma-romanzo, o al mondo del cinema”. La successiva digressione sull’importanza fondamentale che lo youtuber, critico e divulgatore cinematografico Federico Frusciante ha avuto sulle vite di entrambi ve la risparmio.

Nicola ha definito l’atto stesso dello scrivere un racconto un ‘lavoro circoscritto’, nel quale affrontare il testo di un libro dividendolo a blocchi e cercando di tenerne a bada le ramificazioni impostando una barriera e operandovi all’interno risulta una vera difficoltà se non si è abituati a farlo. Potrei dire la stessa cosa, in senso inverso, per i romanzi. D’altronde ogni viaggiatore affronta il cammino con lo strumento che preferisce. “Lo sentivo, però, come un cambio di passo necessario, un modo per uscire dalla comfort zone - aggiunge - . Come spesso mi capita, mi ritrovo a scrivere seguendo ‘la pancia’ invece che ‘la testa’”.

Un altro modo in cui si vede ‘la pancia’ – credo soprattutto in una raccolta, come questa – è quel che dai racconti viene fuori a livello di tematiche comuni. Quando introduco la cosa Nicola rigetta l’idea che possa esserci un filo conduttore ma io credo invece molti racconti ce l’abbiano nel tratteggiare un certo tipo d’Italia e di provincia, e nel parlare del ruolo e della vita dello scrittore. “Un contesto in crisi, decadente come l'Italia, è affascinante sempre e comunque – spiega Nicola, dopo averci riflettuto un po’ su - . Negli ultimi anni ho assistito a un vero e proprio campionario di nevrosi urbane; ho smesso di guardare al mio vicino di casa come a un elemento folkloristico e ho iniziato a considerarlo spaventoso. Si decide di vivere nella superficialità per evitare di soffrire. Perché così tanti scrittori nei miei lavori, poi? Perché cerco di scrivere di quel che so”.

Tornando indietro, parlavo di come il proporre il proprio lavoro a qualcuno sia spesso la fase più critica e potenzialmente distruttiva dell’intero processo creativo. Non sempre è così, però, e a volte accade il piccolo miracolo dell’incontrare qualcuno capace e allo stesso tempo disposto ad aiutare lo scrittore-viandante a riconoscere i percorsi meno impervi e più lineari. Un editor. Per Nicola, in questo caso, è stato niente meno che Alessandro Forlani (se non lo conoscete correte a fare i compiti e buona lettura). “Oggi scrivo in una maniera più consapevole, grazie a lui. Difficile far capire quanto abbia cambiato la mia maniera di concepire la scrittura a livello tecnico – dice Nicola - . Mi ha spostato le virgole, letteralmente, rendendola però un’operazione concettuale e non solo sintattica: editare con lui equivale a un corso di scrittura creativa, è stato rispettoso ma onesto e chiaro nelle sue spiegazioni. Non avrei potuto chiedere di meglio”.

Un rapporto di fiducia che Nicola condivide anche con Leucotea edizioni e con il suo ‘patron’ Matteo Moraglia: “Uno staff di gente gente professionale ma disponibile che ha creduto molto in me; quando il tuo nome esce sulla copertina non sei più come prima. Non si torna indietro, come quando ti fai un tatuaggio”.

La birra e il caffè finisco, l’incontro volge al termine. Mentre raggiungiamo la cassa Nicola mi spiega ancora perché il libro sia intitolato ‘Interurbane notturne’: trovo sempre difficile appioppare titoli accattivanti ai miei lavori, mi incuriosiscono molto quelli degli altri. “Tutti i racconti sono in prima persona presente, come fossero davvero delle telefonate tra i protagonisti e il lettore – dice - , e questo è stato il mio modo di lavorare per diverso tempo. Vorrei chiudere un po’ questo cerchio, prima di muovermi su progetti di più ampio respiro. E in più, qualche decennio fa, un’interurbana notturna era un’eventualità sorprendente mentre ora è una telefonata come qualunque altra”.

Qualcosa che sembra comune ma in realtà non lo è. Un bel modo di dire ‘racconto’, anche se sei poco abituato a farlo.

Simone Giraudi

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A NOVEMBRE?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare 2024" su Spreaker.
SU