Schegge di Luce - 15 ottobre 2023, 07:04

Schegge di luce: pensieri sui Vangeli festivi di don Marco Panero

Commento al Vangelo del 15 ottobre, XXVIII domenica del tempo ordinario

Il Tempio di San Paolo, ad Alba

Il Tempio di San Paolo, ad Alba

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:

«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.

Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.

Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.

Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti». (Mt 22,1-14).

Oggi, 15 ottobre, la Chiesa giunge alla XXVIII domenica del tempo ordinario (Anno A, colore liturgico verde). A commentare il Vangelo della Santa Messa è il sacerdote salesiano don Marco Panero.

Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di Luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole che sono come scintille per accendere le ragioni della speranza che è in noi.

Eccolo, il commento.

L’insegnamento di Gesù si serve spesso del genere letterario delle parabole, proprio come avviene nel Vangelo di questa domenica. Le parabole sono rivelative di Dio: ne svelano la verità preservandone il mistero, e rendono così possibile un progressivo approfondimento di fede in chi le medita con attenzione.

Ma le parabole non sono soltanto informative. Spesso svelano l’interlocutore a se stesso, lo obbligano a prendere posizione, lo stanano. Partono dagli interessi che gli stanno a cuore e, poco alla volta, lo fanno rientrare in sé. Costituiscono insomma un insegnamento ‘aperto’, che ‘dà da pensare’, coinvolge e costringe a mettersi in discussione. Quante volte, ascoltando una parabola, non ci siamo spontaneamente immedesimati in questo o in quell’altro personaggio, compiendo così un semplice, ma autentico ‘esercizio spirituale’?

Così accade anche nella parabola di oggi, chiaramente iperbolica e poco verosimile nello svolgimento letterale della narrazione. È piuttosto al senso della parabola che dobbiamo prestare attenzione. Non è difficile leggervi i ripetuti inviti di Dio ad entrare nella sua casa, dove ci attende il banchetto che ha allestito per noi. In effetti, l’intera parabola è costruita attorno all’immagine del banchetto nuziale, fortemente evocativa in una civiltà dove il cibo scarseggiava. È l’immagine di cui l’Antico Testamento si serve spesso per indicare la comunione piena e definitiva con Dio, capace di saziare ogni aspirazione del cuore e di liberare dalla triste necessità della morte. Per questo è immagine simbolica e figurativa di vita eterna.

Ebbene, la parabola descrive esattamente la nostra posizione nei riguardi di Dio. Tutto è pronto: la sua Parola aperta e ripetutamente annunciata, la mensa eucaristica apparecchiata, la sua misericordia spalancata nel sacramento del perdono. Manchi solo tu...

Potremmo trovarci anche noi nella posizione di quegli invitati, che avrebbero tutto da guadagnare ad accogliere l’invito del re, eppure restano sordi alla sua proposta, sprofondati nei loro meschini interessi, provando quasi fastidio a scomodarsi e, di fatto, escludendosi essi stessi dal prestigioso banchetto.

La parabola non descrive come si sia sentito il re davanti ad un tale affronto, che ha tutto il sapore di una pubblica umiliazione. Però possiamo immaginare quanto debba dispiacere a Dio l’indifferenza e il rifiuto ingrato da parte della sua creatura, dopo che Egli le ha ripetutamente manifestato il suo amore e la sua fedeltà. È come se Dio ci dicesse: «Ma non vedi la premura che uso con te? Ti ho amato prima che tu esistessi: che cosa dovrei fare ancora per te che io non abbia già fatto? Come devo convincerti a fidarti di me?».

Con ogni uomo che viene al mondo, Dio deve ricominciare sempre daccapo! Con premura, deve farsi strada nel suo cuore, guadagnarlo dolcemente a Sé per convincerlo della sua fedeltà. E Dio accetta le titubanze e le infedeltà di quel cuore umano, si adatta al suo passo, lo rilancia col suo perdono. Quanti sospetti Dio deve sopportare su di Sé, quanta ingratitudine, e questo si ripete ad ogni generazione! In effetti, la fede di chi ci ha preceduto non esime dal dare ora la nostra personale risposta. Questo è il tempo propizio, è in fondo l’unico tempo che abbiamo per accettare con prontezza l’invito di Dio.

Silvia Gullino

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