Schegge di Luce - 05 novembre 2023, 09:00

Schegge di luce: pensieri sui Vangeli festivi di don Riccardo Frigerio

Commento al Vangelo del 5 novembre, XXXI domenica del tempo ordinario

“Gesù e gli scribi”, disegno dell’artista braidese Pinuccia Sardo

“Gesù e gli scribi”, disegno dell’artista braidese Pinuccia Sardo

"In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: 'Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare 'rabbì', perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato". (Mt 23,1-12).

Oggi, 5 novembre, la Chiesa giunge alla XXXI domenica del tempo ordinario (Anno A, colore liturgico verde). A commentare il Vangelo della Santa Messa è don Riccardo Frigerio, direttore dei Salesiani di Bra.

Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di Luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole, uniti al bel disegno di Pinuccia Sardo, per accendere le ragioni della speranza che è in noi.

 

Eccolo, il commento.

“Avere o essere?” del 1976 di Erich Fromm, oggi è diventato “Apparire o essere?”, grazie alla pervasività dei social e all’evaporazione del senso di realtà (con l’intelligenza artificiale, il metaverso e l’avatar si vivono esistenze fatte di 0 e 1). Nella riflessione del famoso psicologo tedesco, la prevalenza della modalità esistenziale dell’avere ha ridotto l’uomo contemporaneo a ingranaggio della macchina burocratica; ne ha manipolato gusti, opinioni e sentimenti da parte di governi, industria, mass media; lo ha costretto a vivere in un ambiente degradato. Contro questo modello dominante, Fromm delinea le caratteristiche di un’esistenza incentrata sulla modalità dell’essere, in quanto attività autenticamente produttiva e creativa, capace di offrire all’individuo e alla società la possibilità di realizzare un nuovo e più profondo umanesimo.

Non tutti si sono avventurati tra queste pagine da cima a fondo, ma si intuisce facilmente che il dilemma posto è coerente con l’indicazione di Gesù: fate quel che dicono, non fate quel che fanno (i farisei). Se non vogliamo solo apparire, allora è necessario chiederci: che cosa significa essere davvero cristiano nel mondo d’oggi? Andare a Messa, battezzare i propri figli, fare la comunione a Pasqua, rispettare i comandamenti? Una religiosità basata solo sulle opere esteriori, visibili e ammirabili dagli altri, non sta in piedi al cospetto di Dio. Eppure, viene da pensare ai genitori e agli educatori, che a volte, spesso, molto spesso più che parlare o insegnare, dovrebbero dare il buon esempio. Essere cristiani vuol dire questo: non tanto rispettare ciecamente delle formule o dei precetti, ma donare Cristo agli altri, mediante una vita cristiana onesta, perché, grazie all’apostolato della preghiera, della sofferenza e delle opere, il cristiano possa divenire una forza vivente del Vangelo di Cristo.

Scribi e farisei di ieri hanno perso il pelo, ma non il vizio. A chiunque esercita un potere piace che gli venga riconosciuto, che possa essere in parte temuto o atteso, che non venga messo in discussione. La cattedra di Mosè si riferisce al ruolo legittimo degli scribi, quali maestri della Legge e interpreti della volontà di Dio in essa contenuta. Gli scribi e i farisei occupano legittimamente la cattedra di Mosè, quindi vanno ascoltati, ma non bisogna imitarne le opere, contrarie al loro insegnamento.

Il rischio dell’interpretare il ruolo assegnato dalla vita è che lo stesso diventi “corazza” giustificativa che ci fa sentire qualcuno, facendoci dimenticare da dove e come siamo partiti, ma soprattutto a che cosa si era chiamati a compiere: un “servizio”.

Dopo aver messo sotto accusa l’incoerenza dei farisei, Gesù li rimprovera per l’ostentazione e la vanagloria. Filattèri e frange di dimensioni spropositate sono 'esche', perché la gente semplice li guardi con invidia.

La società contemporanea ha ampliato gli orizzonti di questo 'apparire' così importante: pagine sui social, influencer, virtualizzazione delle amicizie, veloce come un click, superficiale come il tocco e lo 'swipe'. Eppure resta la carica umana, ineliminabile, di quegli esseri umani che stanno davanti allo schermo, magari troppo deboli per affrontare il mondo.

Gesù invita i suoi discepoli ad assumere un atteggiamento preciso, di cui darà esempio e prova nel momento dell’arresto e della condanna: chi si umilierà sarà esaltato, perché si è affidato al Padre. Unico è il Padre, quello celeste: tanti uomini sembrano non capirlo e inseguono beni e persone che possano garantire una felicità solamente apparente. La vera grandezza sta nel servizio, come Gesù stesso ha testimoniato con la sua vita e quanti sono chiamati a guidare i loro fratelli sono esplicitamente invitati a conformarsi a Lui.

Come scriveva Madeleine Delbrel: 'Nulla al mondo potrà donarci la bontà di Cristo se non il Cristo stesso. Nulla al mondo ci darà accesso al cuore del nostro prossimo se non avremo permesso a Cristo di accedere al nostro stesso cuore' (da “Noi altri, gente di strada”). Essere grandi significa, infatti, prendersi cura! Essere adulti significa aiutare e sostenere la crescita di quanti sono più piccoli senza mai voler pesare sugli altri ma, al contrario, cercando di dare ai nostri fratelli e sorelle in umanità la speranza di poter contare su di noi senza alcun imbarazzo".

Silvia Gullino

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