Schegge di Luce - 11 febbraio 2024, 07:34

Schegge di luce: pensieri sui Vangeli festivi di Pierluigi Dovis

Commento al Vangelo dell’11 febbraio, VI Domenica del Tempo Ordinario

Manifesto della XXXII Giornata mondiale del malato

Manifesto della XXXII Giornata mondiale del malato


 

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.

E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».

Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte (Mc 1,40-45).

 

Oggi, 11 febbraio, la Chiesa giunge alla VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B, colore liturgico verde), quando ricorre la XXXII Giornata mondiale del malato, per la quale il papa Francesco ha pubblicato un Messaggio dal titolo “Non è bene che l’uomo sia solo” Curare il malato creando relazioni.

A commentare il Vangelo della Santa Messa è Pierluigi Dovis, direttore della Caritas Diocesana di Torino. Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole per accendere le ragioni della speranza che è in noi.

Eccolo, il commento.

Sembra di sentirli i curiosi che vedono Gesù accanto al lebbroso. I più gentili lo avranno etichettato come incauto, altri come sconsiderato, oppure presuntuoso o, ancora peggio, ribelle alla legge.

La lebbra, definita nel libro di Giobbe primogenito della morte, era considerata l’impurità fisica più grave, e il lebbroso non era pensato come ammalato, ma come un vero morto che cammina. Un misto di malattia e peccato che si trasformava in problema per tutti, di salute e sociale, tanto che la persona andava dichiarata immonda esattamente come lo era un cadavere. Impensabile fermarsi a chiacchierare con lui, e anche inutile, tanto ormai non c’era più nulla da fare.

Gesù sceglie di rompere il muro che era stato eretto intorno al lebbroso, non perché si sentisse sovversivo, ma perché (come descrive bene il termine originale in greco) sperimenta una partecipazione sofferta che lo porta ad adirarsi verso la malattia che sovverte l’originale volontà creatrice.

Il nostro Dio è così, perché composto solo di “agape”, amore totalmente gratuito. Il suo braccio si tende e la mano tocca il lebbroso, creando un legame di continuità, cosicché i due sono di fatto uno solo, come vite e tralcio. La forza risanante scorre e il lebbroso sperimenta salute. Lui che era morto diventa risorto, torna a vivere dentro all’accampamento, non è più problema, ma di nuovo fratello. Cosa sia capitato tra i due non ci è dato saperlo, perché è contenuto del mistero di redenzione che Gesù chiede di custodire con il silenzio.

Noi rischiamo di finire come i tanti che ne furono informati, ma compresero solo l’effimero di quel mistero. Anche oggi sono tanti i morti che camminano nelle nostre strade, nelle nostre comunità e forse anche nelle nostre famiglie. Li teniamo lontani per paura o semplicemente per disinteresse. La cosa grave è che pensiamo che per loro non si possa fare più nulla. Abbandonati, mentre dovremmo tendere loro la mano. Probabilmente non ci accorgiamo di quanto spesso anche noi siamo nella stessa condizione, ma finché non tocchiamo il fondo non riusciamo a trovare il coraggio di supplicare in ginocchio: «Se vuoi, puoi purificarmi».

Il lebbroso non aveva più nulla da perdere, noi invece dobbiamo corrodere spesse corazze di superbia. Per questo il brano di Vangelo, oltre che mostrarci come si rompe il muro dell’apartheid, ci stimola a picconare seriamente il piedistallo granitico su cui posiamo i piedi, ci spinge a metterci in ginocchio e ci schiarisce la voce per supplicare. Non cerca di convincerci con sofisticati ragionamenti, ma semplicemente ci fa vedere cosa capita quando accettiamo di comportarci così.

Non è casualità leggere questo passo nella giornata del malato e alle porte del tempo di quaresima. Infatti, verso tutti i malati vale per noi quanto ci chiede Paolo ovvero diventare imitatori di Cristo, e verso il tempo di rinnovamento che ci sta davanti vale quel sentirsi bisognosi di pulizia che ha scatenato la compassione di Gesù che subito porta i suoi effetti.

   

Silvia Gulllino

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