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Al Direttore | 15 aprile 2024, 10:16

Non si separino le mamme dai neonati in caso di ricovero (lettera)

Una giovane mamma scrive al Senatore Bergesio per evidenziare una prassi ospedaliera che mette in difficoltà in caso di ricovero la gestione dell'allattamento del neonato

Non si separino le mamme dai neonati in caso di ricovero (lettera)

Egregio Senatore Bergesio,

Le scrivo per sollevare problematiche riguardanti prassi operate dal sistema sanitario pubblico che discriminano giovani madri e potrebbero impedir loro di accedere alle cure di cui necessitano.

Il giorno 29 gennaio 2024 mi ruppi il piatto tibiale del mio ginocchio per via di un incidente sugli sci a Prato Nevoso. Conseguentemente fui portata in ambulanza al pronto soccorso dell’Ospedale Regina Montis Regalis di Mondovì. Nel frattempo, mio marito andava a prendere mio figlio di quattro mesi essendo ancora esclusivamente allattato in ottemperanza alle raccomandazioni dei ginecologi, dei pediatri e delle ostetriche.

Nonostante fossi arrivata in ospedale alle 4 di pomeriggio e nonostante ci fosse soltanto un altro paziente ortopedico in attesa, dovetti aspettare fino a tarda notte per essere visitata da un dottore: non l’ortopedico, siccome ortopedia aveva già chiuso ore prima, ma lo staff (presente in numeri ben più elevati di quanto ebbi l’opportunità di osservare in altri due paesi occidentali) non pensò di farmi passare – almeno solo per ingessarmi – prima che l’ortopedico finisse il suo turno.

Ad ogni modo, dopo la radiografia, da cui emerse il sospetto di una frattura, fui informata che avrei dovuto attendere fino al mattino seguente per essere effettivamente visitata dal medico rilevante. Non potendo camminare, fui costretta – ancora senza gesso, senz’acqua, cibo né antidolorifici e con una fornitura scarseggiante di ghiaccio – a dormire nel dipartimento di emergenza. Quando dissi al medico di turno che sono una madre che allatta e che quindi non potevo essere separata da mio figlio, ella si disperò confessandomi che si trattava già della quarta madre che sarebbe dovuta dormire lì con bambini in puerperio.

Il dipartimento di emergenza raccoglie, oltre a coloro che non hanno ancora passato il triage e si trovano ancora in sala d’attesa, tutti i pazienti – seduti o coricati – accalcati in corridoi: il ché di per sé dovrebbe apparire come una pratica pericolosa a quegli stessi medici che – fin dai tempi del COVID – pontificano senza tregua sui vari rischi di contagio terrorizzando pazienti già sofferenti.

Infatti, nostro figlio si prese un brutto raffreddore a causa di questo pernottamento; tuttavia, i cosiddetti “rischi” di contagio (significativi o meno) vengono presi seriamente in considerazione da certi medici e dalle autorità sanitarie soltanto quando essi giustifichino la ferrea e spietata implementazione delle loro politiche e prassi nei loro ospedali (che hanno poco a che fare con la scienza, bensì con la loro ideologia) e soprattutto quando rendano il loro lavoro più facile e meno suscettibile al vaglio di pazienti e parti terze, come mi accingo a spiegarLe.

In ogni caso, quella notte il medico di triage provò pietà per noi e riuscì a convertire un ufficio del reparto in una “camera”; nonostante i suoi sforzi, ella non poté però sopperire alle gravi inadeguatezze di quest’ultima, ovvero mancanza di finestre, accesso a un lavandino e un fasciatoio e un lettino adeguato. Il reparto di pediatria ci fece avere una loro culla per neonati, ma nostro figlio era ormai troppo grande per essa e sbatteva sempre gli arti e la testa contro i bordi.

La mattina dopo verso le 9 o le 10 del mattino fui vista da un ortopedico che constatò che il mio infortunio richiedeva un’operazione chirurgica per riattaccare il legamento crociato. Egli insieme con il primario Dott. Bianco tentarono di farmi ricoverare nel reparto di ostetricia o in quello di pediatria per poter nutrire il mio lattante, in quanto il “Week Surgery” sosteneva che non erano in grado di ricoverarci insieme a causa proprio, appunto, del rischio infettivo per mio figlio.

Addirittura, mi fu detto, il Week Surgery si trova proprio accanto al reparto COVID – ovviamente rigorosamente vuoto, al contrario dei corridoi affollati del pronto soccorso. Dott. Bianco fu fantastico e cercò in tutti modi di farmi stare con il mio bambino contattando anche la direzione sanitaria, la quale sembrava molto favorevole e provò ad esigere che dovessimo essere ricoverati insieme, mio marito incluso, dato che avrei avuto bisogno di molto aiuto dopo l’operazione non essendo ancora in grado di camminare.

Prima di entrare in sala operatoria, venni rassicurata dai medici e infermieri che sarei rimasta con la mia famiglia. Dopo che mi fui svegliata dall’anestesia verso l’ora di cena, mi fu detto crudamente che io da sola sarei stata ricoverata in Week Surgery siccome c’erano casi di polmonite (come già accennato, molto probabilmente mio figlio fu comunque infettato dal patogeno responsabile dato che ebbe tosse e stanchezza per una settimana dopo le dimissioni).

Mio figlio fu ricoverato con mio marito nel reparto di pediatria mentre il pediatra di turno stava litigando al telefono con la direzione sanitaria rifiutandosi di ricoverarmi insieme a loro; il medesimo rifiuto – ci fece sapere ortopedia – era arrivato qualche ora prima da ostetricia.

Alla fine, dovetti chiedere a mio marito di andare a prendere a casa la mia pompa per il latte materno siccome ostetricia si rifiutò anche di imprestarmi una delle loro. Dovetti altresì sopportare l’irritazione delle infermiere che erano ora costrette a trasportare bottiglie tra i reparti. Ebbero perfino l’audacia di lamentarsi del fatto che mio figlio non mangi latte artificiale quando l’intero sistema sanitario italiano promuove l’allattamento come superiore dal punto di vista della salute fisica e psicologica del bambino e cerca di convincere le madri a non usare il latte artificiale se sono in grado di produrre quello naturale.

Inoltre, giustificarono di nuovo questa divisione di famiglia con il rischio di contagio per il piccolo: quando risposi loro però che questa non era una ragione valida siccome – se mai mi fossi infettata – avrei comunque “contagiato” mio figlio quando l’avrei di nuovo incontrato fuori dall’ospedale tra qualche giorno al massimo, non seppero che replicare e mi liquidarono in quanto non operatore sanitario al pari di loro. Il giorno dopo non potevo ancora vedere la mia famiglia (mentre la mia compagna di stanza poté subito vedere suo marito) e faticai a riprendermi dal dolore nel mio cuore perché sapevo che mio figlio non è abituato a mangiare dalla bottiglia, ma a stare con sua madre.

Mi lamentai l’intera notte con lo staff, ma non v’era nessuno ad ascoltarmi o aiutarmi: mio marito dovette dare alle infermiere di pediatria cibo e acqua da casa per me perché – nonostante le mie richieste – non mi fu dato niente benché dovessi nutrire mio figlio. Nessuno voleva ascoltare me, mio marito o Dott. Bianco. Ovviamente, lo staff (sempre in numero sovradimensionato) si lamentò di me con i medici perché avevo tutte queste “richieste” scandalizzanti, ma della mia compagna di stanza che gridava al telefono tutto il tempo e ascoltava a tutto volume le preghiere islamiche non una parola, né un provvedimento.

Gli ospedali dovrebbero servire i pazienti e non i medici e gli amministratori. Senza altra via d’uscita, la mattina dopo l’intervento mi autodimisi da questa prigione sanitaria: i miei diritti di madre cattolica sono stati calpestati nell’indifferenza di quasi tutti i presenti e non potevo che usufruire dell’ultima libertà rimastami, nonché quella di circolazione.

Poiché i bambini sono il nostro futuro e l’Italia in particolare sta vivendo gravi problemi demografici, economici e culturali per colpa della sempre peggiore mancanza di nuovi nati italiani, soprattutto per via della penuria di giovani che sono disposti a sposarsi e procreare, La prego umilmente di sollevare la questione in Parlamento e presentare una proposta di legge per obbligare le strutture sanitarie a non separare le madri dai loro figliuoli allattati quando sono malate e ricoverate a patto che queste siano nelle condizioni di prendersi cura dei bambini, ossia sufficientemente coscienti.

La ringrazio profusamente d’aver letto la mia lettera. Spero che Lei possa intervenire al riguardo e attendo pazientemente un Suo cortese riscontro.

Cordialmente

Sig.ra Cosima Gambaro

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