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Curiosità | 27 aprile 2024, 07:21

Vigile del fuoco, un mestiere tra sogno e realtà: la storia di Renzo Rabbia

Il capo reparto del coordinamento provinciale di Cuneo si racconta: “Non esiste intervento rimosso, ma ridimensionato con lo scorrere della vita”

Da sinistra Renzo Rabbia, capo reparto dei Vigili del Fuoco di Cuneo, e Valter Aimar, ex vigile del fuoco

Da sinistra Renzo Rabbia, capo reparto dei Vigili del Fuoco di Cuneo, e Valter Aimar, ex vigile del fuoco

E' certamente il sogno di molti bambini, ma fare il vigile del fuoco si fonde soprattutto con l'esserlo: non è un mestiere qualunque. Il sogno infantile di essere o diventare un eroe, nella realtà implica responsabilità, preparazione e consapevolezza come poche altre professioni. Una delle più ammirate dall'opinione pubblica per il servizio che offre e per i rischi correlati. Una vera missione di altruismo.

C'è chi di un sogno ne ha fatto realtà, come Renzo Rabbia, oggi capo reparto dei Vigili del fuoco di Cuneo. Un percorso di aneddoti ed esperienze che ha in parte condiviso con l'ex collega vigile del fuoco Valter Aimar.

Essere un Vigile del Fuoco – spiega -, svolgere questo mestiere non significa comporre, produrre, creare, acquistare o vendere, significa regalare se stessi al prossimo, a persone che non conosci e che forse mai rivedrai, alle quali hai consegnato una cosa grande o immensa: la consapevolezza che con i sacrifici saranno in grado di affrontare il futuro, quel futuro che poteva essere negato e che invece è la speranza costante della vita, da non cancellare mai”.

Il filo conduttore delle giornate di lavoro di tutti i vigili del fuoco è proprio la vita di caserma con le mansioni, le gioie, le soddisfazioni, i bocconi amari. “E ti accorgi che proprio quella caserma diventa la tua seconda casa – racconta Rabbia -, la tua quotidianità. Quotidianità troppe volte interrotta dall’altoparlante che annuncia un intervento e quindi l’uscita di una squadra: cinque uomini, cinque pompieri pronti a partire”.

E poi c'è la vita sul campo, l'azione, dove ci si domanda cosa vi sia ad attenderli, così “anticipi i tempi – continua il capo reparto dei Vigili del Fuoco di Cuneo -, sali sul camion, indossi l’elmo e l’antifiamma e, durante il tragitto, ti fai guidare dalle comunicazioni che via radio vengono impartite dai colleghi della sala operativa: ogni particolare, ogni informazione diventa utile nell’immediatezza dei fatti. E nel corso degli anni, devi affrontare ogni tipo di intervento: quello che ti fa vivere il dramma delle fiamme, degli scoppi in un incendio, della fuga di gas, dell’incidente stradale, il dramma del pericolo e del rischio personale e per la squadra.

Sempre all'erta. Quante volte aspetti di ritornare in caserma!

E, qualche volta “ti auguri” di ritornarci: qualcuno di noi non ha fatto ritorno...

Alla fine, quante sono le fotografie scattate dai tuoi occhi?

Immagini crude, impressionanti che non fanno parte del gioco. La vita dovrebbe proporre altro, anche se indossi la divisa di un pompiere, perché quella divisa è indossata da un uomo, da un papà. Le macerie diffondono l’odore del fumo, le orecchie catturano i rumori, gli scoppi, le mani avvertono la vita, ma a volte anche la morte ed intanto gli occhi fotografano, fotografano ed ancora fotografano”.

Passano gli anni, gli avvenimenti si susseguono, gli interventi si ripetono, le situazioni variano “e ti trovi a raccontare e a raccontarti – prosegue Rabbia - Ti guardi allo specchio e vedi le rughe, i capelli brizzolati e tiri le somme: il primo intervento, il primo incendio, il primo incidente, il primo morto. Volti pagina e ricordi la prima alluvione, il primo terremoto, la prima frana o smottamento. Volti ancora pagina e non dimentichi lo sguardo di chi ti attende, di chi ti chiede aiuto. Sono tante le pagine che accompagnano il capitolo di quel volume, di quel mestiere così diverso da tutti gli altri. Il cuore diventa, negli anni, una spugna che assorbe emozioni, stati d’animo, lacrime, tristezza, angoscia e tu, con i picchi in positivo o in negativo, in gioia o tristezza, vivi. Esiste l’occhio lucido, esiste veramente, esistono i pensieri, esistono i confronti e i paragoni: poteva essere mia madre, poteva essere mio fratello, poteva essere mio figlio… E continui a ricordare le sequenze: recuperare il corpo di un essere umano, donna o uomo che sia, estraendolo da quel groviglio di lamiere accartocciate... recuperare il corpo di un pescatore arenato da settimane sul letto del fiume... entrare in un appartamento saturo di gas e trovare un papà che ha deciso di mettere il punto finale alla propria vita... trovare ancora nonno Pietro e nonna Maddalena nel letto della camera da letto, addormentati per sempre dal monossido di carbonio, sprigionato dalla stufa a legna”.

Inevitabili i momenti di riflessione e di bilancio.

Se ti fermi a riflettere – analizza Rabbia - , arrivi a constatare il fatto che il giorno di Capodanno, il giorno del tuo compleanno, quello dell’anniversario di matrimonio oppure la notte di Natale, tu ed i colleghi, nelle ore più impensabili del giorno e della notte, eravate impegnati nello spegnimento di una civile abitazione, di uno stabilimento o forse impegnati a portare soccorso ad un anziano caduto in casa, oppure a scavare fra macerie post -terremoto, a chilometri da casa tua.

La mente cataloga, suddividendo i fascicoli degli interventi in base al peso, all’impatto, alle conseguenze, al dramma vissuto o sfiorato.

Rivivi i giorni di festa, che diventano giorni di dolore, di lutto.

Non esiste intervento rimosso – conclude Rabbia -, ma ridimensionato con lo scorrere della vita”.

Sara Aschero

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