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Attualità | 28 aprile 2024, 07:30

Schegge di luce: pensieri sui Vangeli festivi di don Alessandro Borsello

Commento al Vangelo del 28 aprile, V Domenica di Pasqua

Schegge di luce: pensieri sui Vangeli festivi di don Alessandro Borsello

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (Gv 15,1-8).

Oggi, 28 aprile la Chiesa giunge alla V Domenica di Pasqua (Anno B, colore liturgico bianco).

A commentare il Vangelo della Santa Messa è don Alessandro Borsello, sacerdote salesiano. Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio.

Pensieri e parole per accendere le ragioni della speranza che è in noi.

Eccolo, il commento.

«Portare frutto». Attraverso l’immagine della vite e dei tralci Gesù presenta ai discepoli il senso profondo dell’esistenza umana: quello che conta davvero nella vita di ogni uomo è portare frutto, è dare vita, è far fiorire la propria esistenza. E come il tralcio secca se non sta attaccato alla vite, così i discepoli portano frutto solo se restano ancorati a Gesù, vite docile nelle mani dell’agricoltore, il Padre. «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore».

Potare. Ma se si approfondisce il contenuto presente nell’immagine, si coglie un messaggio più profondo, forse un po’ duro, ma certamente vero. L’esperienza umana adulta insegna che nella vita non si può fare tutto; bisogna necessariamente “de-cidere”, parola che non a caso suona molto simile a “re-cidere”, cioè “tagliare”. Per poter ottenere risultati bisogna essere disposti a rinunciare a qualcosa, bisogna potare. E potare non significa togliere cose negative: il contadino esperto sa che non si pota un ramo secco, ma un ramo verde, un ramo in fiore. E questo è doloroso, perché vuol dire rinunciare a cose buone, perdere opportunità che forse non torneranno più. Questo a volte può portare a rimandare scelte importanti, col rischio però di non scegliere mai.

Lo sappiamo, nella vita la difficoltà più grande non è scegliere tra il bene e il male, tra cosa è giusto e cos’è sbagliato; è piuttosto scegliere, nell’ambito dei beni possibili, quali perseguire e a quali rinunciare, a quali dover dire: «Sarebbe bello, sarebbe cosa buona, ma non si può».

E c’è di più: in alcuni casi si decide dove potare, dove e quando dire dei «no»; in altri, invece, la potatura avviene ad opera di altri: circostanze, fatti improvvisi, limiti che la natura stessa impone. È quello che succede quando ci si accorge che alcune strade sono precluse, che viene chiesto di portare frutto su rami che non sono quelli che si è scelti. Capita quando viene affidata una diversa responsabilità di lavoro; quando in famiglia ci si trova ad accogliere una nuova vita, magari non cercata, o ad accompagnare un malato o un anziano. Nella vita consacrata questa dimensione viene vissuta in modo esemplare attraverso il voto di obbedienza, là dove non è il singolo a definire la sua missione, ma è la missione a definire il singolo. Ma in realtà, questa è la forma di ogni stato di vita cristiana: tutti, infatti, siamo chiamati ad una sorta di obbedienza alla vita, a rinunciare ad alcune prospettive per portare frutto su altri rami, sapendo che solo così sperimentiamo a fondo la logica del chicco di frumento, che deve cadere nella terra e morire per portare frutto.

«Portare frutto». Ecco che torna il messaggio iniziale, che quello che conta nella vita è portare frutto; e il frutto arriva solo nella misura in cui si sta attaccati alla vera vite, Gesù, e si accetta la logica della potatura. Il Signore ci aiuti a capire che questo è l’unico senso della nostra esistenza e ad accettare le potature, a lasciare cioè che il Signore ci faccia fiorire lì dove vuole Lui.

Silvia Gullino

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