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Attualità | 26 maggio 2024, 12:38

FARINÉL / Su Giacomo Morra ha ragione la pronipote, ma attenti a non generalizzare

La pronipote dell’inventore della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco scrive ai giornali per chiedere un maggiore riconoscimento per il bisnonno, figura della quale il Farinél si è occupato più volte

Giacomo Morra

Giacomo Morra

Con una lettera ai giornali la pronipote del grande Giacomo Morra, Irene Morra Giordano, ha chiesto maggiore attenzione da parte delle istituzioni e della stampa per il bisnonno con una rivendicazione sacrosanta, con il rischio, però, quando si spara nel mucchio di colpire anche chi non andrebbe colpito.

Ricordo, e ricordo a Irene, che giustamente vive nel mito del bisnonno, l’iniziativa dell’assessorato alle Città Creative del Comune di Alba, che ha chiesto alla Fondazione Radici di realizzare un podcast e un video biografico presentato in un Teatro Sociale da tutto esaurito.

Ricordo anche le tre uscite del Farinél dedicate a Giacomo Morra, nessuno come lui, ha visto dedicate tre uscite di questa rubrica, perché nessuno come lui le meritava, in quanto tutta la storia recente di Alba prende le mosse dall’attività e dall’opera di Giacomo Morra.

Già in quell’occasione, comunque, nel Farinél ravvisavo come pochi dei ragazzi che si erano cimentati sul testo di Giacomo Morra lo conoscessero veramente e allora ancora una volta cerchiamo di fare informazione in modo che, almeno ad Alba, tutti ricordino perché la città della Malora è diventata la città del benessere.
 
Infatti, tutto il benessere attuale del nostro territorio parte da Giacomo Morra, il primo insieme a don Giacomo Alberione a immaginare un futuro diverso per Langa e Roero, senza la loro visione e la loro opera, probabilmente, famiglie come i Ferrero e i Miroglio avrebbero scelto lidi più fertili per le loro aziende.

Provate a pensare se Giacomo Morra, self made man per eccellenza, invece che ad Alba, fosse nato in Virginia o in Ohio, come minimo gli sarebbero stati dedicati film e serie tv di successo, ne sono certo.

Questo perché la vita di Giacomo Morra è stata un vero e proprio film. Dimenticate l’odierna La Morra dei Baroli a 100 euro a bottiglia, quella in cui nasce Giacomo Morra è una terra grama, è la vera e propria Malora che verrà raccontata splendidamente da Beppe Fenoglio, morto tragicamente pochi mesi prima dell’ideatore del Savona, in 12 mesi che si portarono via Fenoglio, Morra e Pinot Gallizio.

Il contesto in cui cresce il piccolo Giacomo è fatto di undici persone in famiglia con un solo paio di scarpe. Si esce di casa uno per volta e solo se è contemplato tornare con qualcosa da mettere sotto i denti per tutti.

Giacomo Morra inizia a lavorare giovanissimo; dopo alcuni anni di esperienza in alcune osterie a Gallo e in centro ad Alba, Giacomo litiga coi fratelli e capisce che deve cambiare aria e cercare fortuna in città. E’ intraprendente e pieno di iniziativa, in pochi mesi apre una bottiglieria con mescita in via Nizza 93 a Torino.

Nel capoluogo sabaudo, il giovane Giacomo ha una folgorazione quando un giorno vede alcuni trifolao vendere ai ristoratori torinesi, a prezzi altissimi, i tartufi di Alba, comprati a cifre estremamente più basse pochi giorni prima nella città langhetta. Per la prima volta, Giacomo si rende conto delle potenzialità di quel fungo profumato che cresce in abbondanza sottoterra nelle colline di Langa e Roero.

Nel frattempo, l’aria di casa comincia a mancargli e tutto sembra riportarlo verso Alba, ma un patto coi fratelli gli impedisce di ritornare. Dopo alcuni mesi di trattative con Andrea, il maggiore, nel 1928 decide di tornare per acquistare l’Hotel Savona, ubicato nell’omonima piazza.

Con 1.000 lire rileva una struttura sull’orlo del fallimento e capisce da subito che il pubblico non può essere quello dei pochi notabili, ma che deve essere il popolo: toglie la hall, all’ingresso mette un bar e lavora sull’immagine e sul marketing. Ogni notte, alle 4, si sveglia per posizionare su un tavolo tre tazzine sporche di caffè, è il segnale che il bar è aperto e che già sono passati i primi avventori. Una mossa semplice e geniale che permette al locale di arrivare a rimanere aperto e pieno di clienti dalle 4 del mattino all’1 del giorno dopo. Giusto il tempo di pulire e rassettare e si parte con una nuova giornata.

Il Savona diventa in pochi anni un punto di riferimento a livello nazionale e non solo, il ristorante arriva a servire oltre duemila coperti al giorno. Poter inserire nel curriculum di aver lavorato, anche un solo giorno, al Savona può aprire le porte di qualsiasi locale d’Europa, financo a Londra, dove la struttura albese diventa famosissima.

Quello dei Morra è un grande lavoro di squadra per animare un locale che rimane aperto ogni giorno e che offre svago, buon cibo, vino, ma anche un salotto per il mondo culturale cittadino. Il Savona diventa anche pronto alle trasferte con camion frigo e cucine mobili per il primo catering per centinaia e in alcuni casi migliaia di persone. È una rivoluzione, ma non è l’unica perché Giacomo perfeziona il primo bancone per i gelati “sciolti” e inventa il gelato d’asporto, una novità in Italia e in Europa.

Giacomo Morra segue ogni aspetto del locale, gira tra le colline di Langa e Roero per selezionare i capi di bestiame, il pollame, le verdure e i tartufi migliori, è arguto, attento e riesce sempre a spuntare il prezzo migliore alla qualità più alta. Siamo negli anni Trenta del Novecento e Giacomo Morra ha già la visione di un moderno ristoratore di successo dei giorni nostri.

L’hotel non è da meno: le camere iniziano ad essere addirittura provviste di acqua corrente, luce elettrica e riscaldamento; successivamente arriveranno anche i telefoni. Nei grandi saloni dell’albergo, si servono buffet con 10-12 antipasti, carrelli caldi con cinque secondi, grazie anche all’instancabile moglie Teresa, che abbassa le serrande solo in tarda serata, per poi riaprire al mattino presto del giorno seguente. Tra i fornelli del Savona si sarebbe formata una generazione di cuochi che avrebbe fatto la fortuna della cucina locale e non solo, nei decenni successivi.

Nel perseguire il successo, come già fatto qualche anno prima a Torino, Giacomo cerca la spettacolarizzazione: fa notizia la sua organizzazione di un servizio catering, il primo mai sperimentato, per l’azienda Cinzano o quando riempie tutti i portici di piazza Savona di selvaggina che poi acquista e cucina, per non parlare di quando autodenuncia l’acquisto di tartufi da fuori per ottenere pagine gratuite su La Stampa.

Un imprenditore visionario, lungimirante, sempre attento al cliente, pronto a dialogare con il contadino che si sveglia presto e va a fare colazione nel suo albergo, ma anche con gli addetti ai lavori, attenti ai dettagli nell’evoluzione del mercato.

Per entrare nella storia manca però un mito e Giacomo Morra lo trova in quell’allora sconosciuto tartufo bianco d’Alba che l’imprenditore definisce nei propri slogan “il più Perigordino” dei tartufi italiani capendo che è troppo presto per fare la guerra ai francesi in un territorio, quello dei tartufi, in cui sono maestri assoluti.  Morra conia il marchio Tartufalba e inventa la prima fiera del tartufo bianco, rigorosamente “d’Alba”. Il 28 novembre del 1933 il "Times" dedica una pagina alla Fiera: è la consacrazione internazionale del nome di Alba e dei suoi tartufi.

Morra studia anche gli abbinamenti, perfetti con i cibi caldi, meglio se con pietanze a base di uovo in grado di esaltare il profumo del prezioso Tuber Magnatum Pico. Diventano mitici i tajarin con la trifola ancora oggi richiamo per migliaia di turisti. Particolare sconosciuto ai più: Giacomo Morra soffriva di gastrite. Uno dei padri della cucina piemontesi, coi suoi deliziosi antipasti e coi suoi succulenti secondi di carne, si nutriva prevalentemente di brodini.

Nemmeno la Seconda Guerra Mondiale ferma il grande imprenditore langhetto che dagli anni Cinquanta cambia strategia: nel 1951 invia il tartufo dei record, 2,5 kg al presidente degli Stati Uniti Truman e capisce lo straordinario volano di immagine che possono avere i divi hollywoodiani sui consumatori dell’Occidente, vicino al boom dei Favolosi anni Sessanta. Nel 1954 invia il tartufo dell’anno a Marilyn Monroe, nel 1960 riesce a portare all’hotel Savona Alfred Hitchcock e la moglie Alma Reville. Marilyn scriverà: “Carissimo mister Morra, devo dire che in verità non ho mai assaggiato niente di più gustoso ed eccitante: a lei il mio grazie particolare per il piacere che mi ha procurato. Sua devota ed affezionatissima, Marilyn”.

“La signora e il signor Churchill hanno gustato e particolarmente apprezzato”, il laconico messaggio che arriva dalla segreteria dello statista britannico. Nel frattempo, il tartufo del Perigord diventa il parente povero del nostro bianco d’Alba e oggi vale mediamente meno di un quinto del re dei tartufi.

Poco dopo, nel 1963, Giacomo Morra morirà e anche nella morte riuscirà a costruire il mito perché si scoprirà che, preda di una forte influenza, aveva lasciato l’hotel in piena notte per scegliere il vitello migliore da macellare in occasione dei festeggiamenti che stava organizzando per i 100 anni dell’hotel Savona e i 50 anni di matrimonio con Teresa.

A quel punto il tartufo bianco è già un oggetto di culto internazionale e l’opera di Morra prosegue con il commendator Roberto Ponzio e grazie a uno straordinario lavoro di squadra con i grandi patriarchi dell’enogastronomia albese Luciano Degiacomi, Raoul Molinari, Beppe Colla, Renato Ratti, Gigi Rosso, Pio Boffa e molti altri, tutti a loro modo protagonisti di una storia unica che ha permesso a un paesone di provincia di diventare la capitale mondiale dei tartufi bianchi.

Marcello Pasquero

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