Attualità - 03 agosto 2025, 12:04

I “marghé” della Valle Maira: una storia antica e particolare

Origine, tradizione e trasformazioni di un mestiere che in questo giorno (3 agosto) a Marmora viene ricordato e vissuto con l’iniziativa “En giurn abou lou marghier”

I “marghé” della Valle Maira: una storia antica e particolare

L’attesa è finita: a Marmora oggi, domenica 3 agosto, è “En giurn abou lou marghier”. Comune e Proloco hanno organizzato un’iniziativa che celebra l’antico mestiere del margaro. 
Una mattinata presso l'Azienda Agrituristica di Sergio Serra, dove si è assistito al processo di caseificazione, ed un gustoso pranzo ad offerta libera all'alpeggio Prato Sereno del margaro Giorgio Colombero, a base di patate e macherun. Il tutto percorrendo luoghi, vita e racconti.


 

UN MESTIERE CHE È CAMBIATO NEL CORSO DEL TEMPO 

“Margaro” deriva dall’occitano “marghé”, che significa pastore/allevatore. Si tratta di un termine strettamente legato alla transumanza, ovvero allo spostamento stagionale del bestiame tra pascoli di diversa altitudine.

Ogni anno, la settimana di San Giovanni (24 giugno), si partiva a piedi, non c’erano come adesso i camion e ci si impiegava all’incirca due giorni e due notti per alpeggiare. Prezioso era l’aiuto dei muli ed il suono dei campanacci, appesi al collo delle mucche più anziane, guidavano le altre mucche durante la transumanza. I campanacci, esposti alla baita nel periodo dell'alpeggio, erano realizzati da artigiani esperti. Su di essi frasi e disegni significativi e quello scandire, oltre che lo stanziarsi in alta montagna per i mesi estivi, anche eventi importanti della vita, comep es  matrimoni e nascite. Il margaro trascorreva le sue giornate a stretto contatto con gli animali e, finita l’estate, la settimana di San Michele (29 settembre), sempre a piedi faceva ritorno in pianura. 

Un tempo i margari si spostavano molto di più, rispetto ad oggi dove ognuno ha il proprio terreno, e c’era anche più concorrenza per quanto riguarda gli alpeggi. Il periodo della transumanza è rimasto lo stesso, ma adesso i camion trasportano le mucche ed il numero di capi è decisamente diverso. Soltanto cinquant’anni fa un margaro che aveva di più, possedeva 70-80 mucche, oggi siamo intorno alle 300. Anche i lenti e scanditi passaggi per la produzione del formaggio, sebbene vengano tramandati, si trovano a fare i conti con la rapidità del nostro tempo.

Ma com’è nata la figura del margaro e produceva formaggio come oggi?

I primi agricoltori arrivarono in Piemonte verso il 5.500 a. C. dalla Liguria e poco dopo dalla val Padana. Benché portassero con sé animali allevati, per alcuni secoli non sfruttarono i pascoli alpini. Fu infatti solo a partire dal 4800-4500 a.C. che cominciarono ad essere abitati anche gli ambienti pedemontani, con probabile avvio delle pratiche della transumanza.

Nel Neolitico, con la successiva età del rame, ci fu un cambiamento nell'allevamento: gli animali non furono più tenuti solamente per la carne, ma anche per la lana ed il loro latte. Dagli studi archeologici sui luoghi utilizzati per gli stanziamenti appare però l'assenza di edifici e strutture interpretabili come cantine per la stagionatura dei formaggi, pertanto si tratta comunque di un tipo di allevamento prevalentemente rivolto alla produzione carni. 

Con l'età del Bronzo la popolazione aumentò ancora, ma è solo nell'età del Ferro che si poté assistere all'affermarsi di un allevamento più simile a quello moderno, grazie allo sviluppo della tecnologia del ferro: con i falcetti più efficienti e soprattutto le lunghe falci fienaie ci fu la possibilità di procurare cibo anche d'inverno. Bisogna arrivare comunque ai Romani per avere notizie abbondanti sull'economia pastorale nelle zone alpine, sulle lane ruvide dalle nostre zone e gli apprezzati formaggi alpini.

L'ambiente alpino si integrò bene nell'impero Romano, adeguando antiche tecniche e produzioni locali alla nuova realtà culturale, politica ed economica. I montanari e i margari divennero così una componente di un vasto mondo ben organizzato, in grado gestire e sfruttare l'ambiente montano e i pascoli delle valli e delle alte quote. Le caratteristiche ambientali e paesaggistiche del Piemonte altomedievali non poterono che favorire lo sviluppo della pratica della pastorizia. Suini e ovini furono preferiti ad altri tipi di bestiame per la minore incidenza economica nel loro sostentamento, ma anche anche per l'importanza dei prodotti ricavati dalle carne, dal latte e dalla lana. Sembra modesta la presenza di bovini, destinati per lo più ai lavori nei campi. 

Furono poi profonde le trasformazioni caratterizzanti i secoli che vanno dal X al XIII. L'incremento degli scambi commerciali e la rinascita del mercato del sale, indispensabile per l'allevamento del bestiame da latte e per la conservazione dei formaggi e della carne, costituirono un nuovo impulso per la pratica allevatizia. Dall'analisi delle fonti si evince la convivenza delle due forme di espressione di tale attività, ossia quella sedentaria e quella transumante. 

Il sistema sedentario, altamente praticato nell'economia di villaggio, si servì così del supporto, in caso di mancanza di foraggio, degli spostamenti stagionali sui pascoli d'alta montagna, con il ritorno verso valle e verso i climi più miti alle soglie dell'inverno.  Gli spostamenti ebbero date prefissate ed i viaggi contemplarono tappe intermedie come luoghi di sosta, ma anche punti di foraggiamento del bestiame per la primavera e per l'autunno. Per ciò che riguarda la permanenza nel periodo estivo sulle Alpi, nacquero i ripari temporanei, strutture piuttosto elementari adibite alla lavorazione e alla conservazione dei prodotti caseari.

Una storia antica e moderna. Nel 2019, la transumanza è stata iscritta nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell'UNESCO, riconoscendo il suo valore culturale, storico e ambientale.  Qui a Marmora anche quest’anno l’estate ha visto arrivare i margari ed il tipico formaggio Nostrale. Il suono di quei campanacci al collo delle mucche resta inconfondibile.

Beatrice Condorelli

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