Attualità - 23 agosto 2025, 17:46

Incendio sul Mombracco: tra fiamme, numeri e storie di chi salva i boschi

Il recente rogo tra Revello e Rifreddo ha distrutto 50 ettari di bosco e mobilitato Vigili del Fuoco, volontari Aib e mezzi aerei. Incontriamo Davide Giordano, uno dei piloti dell'Heliwest impegnati in prima linea ogni anno nella lotta ai roghi non solo in Piemonte ma in tutta Italia. Originario della valle Po, ci parla di questa sua affascinante quanto indispensabile professione

Il pilota di elicotteri Davide Giorda

Il pilota di elicotteri Davide Giorda

Il ricordo dell’incendio che ha colpito i boschi sul Mombracco tra Revello e Rifreddo in valle Po nel primo pomeriggio dello scorso lunedì 18 agosto, spento definitivamente ieri, venerdì 22 agosto, è ancora vivo nella memoria della comunità della zona e di tutto il Saluzzese. 

Quelle fiamme in pochi giorni hanno messo alla prova la resistenza del territorio, impervio e arido, e l’instancabile impegno di chi, da terra e dal cielo, ha lavorato per spegnerlo. 

Dietro i numeri e le operazioni di spegnimento ci sono storie di persone che hanno fatto di questa lotta quotidiana la propria missione. 

L’incendio sul Mombracco ha visto impiegate nelle operazioni di spegnimento numerose squadre di Vigili del Fuoco, 80 volontari del Corpo regionale antincendio boschivo (Aib) e due mezzi aerei: un Canadair partito da Olbia e un elicottero in servizio per la Protezione Civile della Regione Piemonte. 

Una mobilitazione straordinaria che ha permesso di domare un rogo capace di distruggere in poco tempo circa 50 ettari di bosco alle pendici del Mombracco. La lotta alle fiamme, tuttavia, non si improvvisa. 

La pianificazione antincendi boschivi è uno dei compiti fondamentali assegnati da una legge quadro nazionale (la n° 353 del 2000) alle Regioni, che devono predisporre servizi e mezzi in grado di intervenire tempestivamente. In Piemonte, come nel resto d’Italia, questa rete di protezione rappresenta un baluardo indispensabile per salvaguardare boschi e montagne. 

In prima linea ci sono professionisti altamente preparati, capaci di affrontare situazioni ad altissimo rischio. Tra loro, i piloti di elicotteri che sfidano fumo, vento e fuoco per garantire la sicurezza dei territori. 

Abbiamo incontrato uno di questi uomini: Davide Giordano, uno dei piloti dell'Heliwest, originario di Crissolo, in valle Po, che da anni pilota elicotteri impegnati nello spegnimento incendi non solo in Piemonte ma anche in altre regioni italiane. Con lui abbiamo parlato di un mestiere tanto affascinante quanto indispensabile per preservare e difendere il territorio. 

Qual è stato il percorso che l’ha portata dalla passione per il volo a diventare uno dei piloti impegnati in prima linea nello spegnimento degli incendi boschivi in Piemonte e in Italia? 

Fin da ragazzo sono stato attratto dal mondo dell’ala rotante. Probabilmente da quando negli anni ’80 si vedevamo sulle nostre montagne i primi elicotteri ‘Alouette III della Gendarmerie francese’ venire in aiuto alle squadre di Soccorso Alpino nel gruppo del Monviso. All’epoca non esisteva ancora in Italia un servizio di soccorso aereo strutturato e le missioni sul versante italiano venivano affidate all’Esercito o all’Aeronautica con elicotteri AB 47 in un primo tempo oppure con i AB 205 sul finire degli anni ‘80. Ma spesso gli elicotteri delle forze armate non erano disponibili e comunque i tempi di attivazione erano molto lunghi.

Ecco perché si collaborava coi francesi che arrivavano da Briançon, sempre pronti a partire coi tecnici e le guide del ‘Peloton de Haute Montagne’. Un fascino irresistibile ha, fin da subito, esercitato su di me questi elicotteri, come quello degli Hughes 500 elicotteri monomotore velocissimi di alcune società private che venivano a fare i primi rifornimenti ai rifugi Quintino Sella e al Giacoletti.

E così, grazie anche all’aiuto di mio papà e al mio impegno sono riuscito a prendere il brevetto da pilota molto giovane, all’età di 19 anni, prima del servizio di leva”. 

Quando è riuscito a trasformare la passione per il volo in una professione? 

Per trasformare questa passione in una professione ho dovuto aspettare il 1998, quando ho iniziato a fare i primi lavori con lo Hughes 300 per la Regione Molise. Ricordo ancora adesso le ore di volo ho fatto avvistando incendi sull’Alto Sannio o sull’Appennino Dauno verso la Puglia! Era un servizio pubblico di pattugliamento e si volava con una Guardia Forestale a bordo”. 

Quali esperienze l’hanno aiutata a crescere professionalmente? 

Un altro impiego che mi ha permesso di maturare esperienza fu quello di scattare fotografie, a migliaia, sulla conurbazione milanese. A bordo con me c’era un fotografo e, con i primi rudimentali Gps, si viaggiava senza porte a scattare foto di ville, imprese, attività di ogni genere su commissione. Poi venne per me il tempo del lavoro in montagna: nel 2007 fui assunto da un’azienda valdostana che impiegava il Lama SA 315, un elicottero votato al volo in alta quota.

Non posso dimenticare gli splendidi scenari del Monte Bianco, le lunghe morene laterali del ghiacciaio Miage viste dall’alto quando salivamo a portare i materiali per ricostruire il rifugio Gonella, oppure ripopolare i laghetti gelati della Val d’Ayas con avannotti di trota fario. Ne trasportavamo a migliaia dentro dei cilindri appesi con una fune sotto l’elicottero. Una volta scesi, fino quasi a sfiorare l’acqua, si apriva un fondello pneumatico: era bello vedere dallo specchio i piccoli pesci come coriandoli argentati cercare riparo nella fanghiglia o sotto le prime rocce

Su cosa si è concentrata soprattutto la sua carriera di pilota di elicotteri negli ultimi anni? 

Via via che aumentava l’esperienza ho avuto l’occasione di cambiare società di lavoro aereo. Ho conseguito il titolo di Comandante ed effettuato voli non di linea per passeggeri anche da e verso l’estero o semplicemente portando le persone a vedere la nostra bella Italia dall’alto con i voli turistici organizzati. Gli incarichi riguardavano però soprattutto l’espletamento dei servizi di Protezione Civile e di antincendio boschivo, Aib appunto. Ho lavorato in Sardegna, Lombardia, Marche, Toscana, Liguria, Campania, Lazio e tuttora lavoro per la Regione Piemonte”. 

Gli incendi riguardano soprattutto le regioni del Sud Italia?

“Luogo comune è pensare che gli incendi interessino soprattutto le regioni meridionali che si affacciano sul Mediterraneo. In parte è vero: le temperature incidono molto e, soprattutto nel periodo estivo, gli inneschi sono decine e decine ogni giorno sotto il 43° parallelo, in particolare nelle isole ma anche in Campania, Puglia, Basilicata, Lazio”. 

In Piemonte invece cosa accade e in quale stagione si sviluppano più spesso gli incendi? 

“Il ‘fattore caldo’ non è tutto e lo dimostra il fatto che nella Regione Piemonte gli incendi si sviluppano soprattutto nella stagione invernale. Quando non c’è neve al suolo e magari in condizioni di alta pressione si sviluppano venti di favonio da nord: tutti i versanti esposti a sud delle nostre Alpi presentano allora un indice di pericolo molto elevato. Capita così che, mentre nevica abbondantemente in Savoia, Queyras o Vallese, prendano fuoco il monte Musinè in bassa Val Susa, il Monte Corso in Valle Stura di Demonte, la Val Chiusella nella zona di Ivrea, o ancora le montagne a nord di Domodossola e Verbania”. 

Ci sono stati episodi storici con incendi particolarmente gravi? 

Sì, nel febbraio del 1990 l’intero arco alpino sud-occidentale fu preso nella morsa del fuoco in giornate di intenso favonio. Migliaia di ettari andarono in fumo. Credo sia proprio dopo quell’evento drammatico che gli assessorati della Regione Piemonte si organizzarono con piani specifici di lotta ai fuochi e con un servizio apposito, formato prevalentemente da squadre di volontari preparati nei centri Formont”. 

Come è nato il Corpo Regionale Aib e che ruolo ha oggi? 

“Il Corpo regionale Antincendio boschivi (Aib) è nato nel 1994 in Piemonte e oggi conta più di 3000 effettivi abilitati allo spegnimento. Prima di quella data non esisteva un vero servizio pubblico: si affrontava il problema con squadre comunali, poche risorse e attrezzature limitate. Oggi invece il Piemonte è considerata una regione virtuosa nel settore dell’antincendio boschivo, con uomini e mezzi all’avanguardia, sempre affiancati dagli ottimi Vigili del Fuoco nazionali. Questi ultimi si occupano del coordinamento, degli incendi di interfaccia, forniscono acqua e vasche per i mezzi aerei e ricoprono il ruolo di Direzione delle Operazioni di Spegnimento (Dos), che sovrintende a tutte le operazioni”

L’incendio sul Mombracco tra Revello e Rifreddo degli scorsi giorni come si colloca nelle statistiche? 

Il recente incendio sul Mombracco rappresenta un’anomalia statistica, perché i roghi estivi in Piemonte sono molto meno frequenti rispetto a quelli tardo autunnali e invernali. Anche i mesi di marzo e aprile sono spesso soggetti, soprattutto in montagna. I 50 ettari andati in fumo sul Mombracco rappresentano per quest’anno l’incendio più esteso, considerando che nei primi sei mesi del 2025 soltanto 23 ettari sono bruciati in tutta la regione. È un dato molto basso se confrontato con la media degli ultimi vent’anni, pari a 2280 ettari annui, e quasi nulla rispetto all’autunno straordinario del 2017, quando andarono in fumo ben 9700 ettari di territorio piemontese”. 

Gli incendi non sono sempre di origine dolosa. Quali altre cause li possono scatenare? 

“Infatti gli incendi non sono tutti dolosi, e il caso di Revello lo dimostra. Nella mia personale statistica, tra le centinaia di incendi ai quali ho collaborato allo spegnimento, quelli dolosi ci sono e si riconoscono subito: si trovano gli inneschi, più palese di così. Ma devo dire che molti episodi sono invece colposi. Può bastare un fuoco di pulitura non sorvegliato, un fabbro che mola vicino alle sterpaglie, il motore di un tir che prende fuoco a ridosso di un bosco, o persino un fulmine durante un temporale estivo che passa velocemente.

Ricordo di un episodio in Sardegna quando ci chiamarono a spegnere un incendio lungo una ferrovia a scartamento ridotto, quella che da Bonorva scende a Macomer. Capii subito che era stato provocato dalle frenate del treno vicino all’erba, in una giornata torrida e ventosa: i punti di accensione erano decine, tutti allineati a distanza regolare lungo i binari”.

Anna Maria Parola

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