Una piccola valle delle montagne piemontesi, tre minuscoli comuni che insieme non arrivano a duemila abitanti, un secolo di vita che scorre tra sogni, fatiche, migrazioni, modernità in arrivo e tradizioni che resistono. È questo l’universo narrativo di «Due soldi di benessere», la raccolta di 35 racconti firmata da Oliviero Cima e pubblicata nella collana Biblioteca degli scrittori piemontesi della casa editrice Baima Ronchetti.
Il progetto del libro, racconta l’autore, nasce molto tempo fa «quasi per caso», durante alcune lunghe serate trascorse a rievocare con un amico — poi diventato collaboratore nella revisione — aneddoti e storie della Val Gallenca, la terra d’origine. «Avevamo abbozzato alcuni racconti, poi la vita ci ha portati altrove e tutto è rimasto in una cartellina per oltre venticinque anni», spiega Cima. «Quando l’ho ritrovata, riordinando lo studio, mi sono reso conto che quell’idea aveva ancora forza. Ho ricominciato a scrivere, recuperando gli spunti di allora». Il risultato è una raccolta che attraversa epoche, caratteri e atmosfere, restituendo la voce di un mondo tanto piccolo quanto ricco di umanità.
Un microcosmo alpino sospeso nel tempo
La Val Gallenca — San Colombano Belmonte, Canischio e Prascorsano — emerge come un microcosmo quasi sospeso, almeno fino agli anni Ottanta del Novecento. «Le dinamiche erano per molti versi immutate da secoli», racconta Cima. «La campagna dettava i ritmi, l’economia domestica era centrale, e anche la modernità — la luce elettrica, il telefono, l’automobile — arrivava con lentezza. C’era persino chi ne restava ai margini».
L’autore ricorda anche la propria famiglia, simbolo della transizione: «Mia madre era contadina, con qualche vacca, le galline, i conigli. Mio padre lavorava in fabbrica per integrare il reddito. Era una condizione comunissima nelle campagne piemontesi».
A segnare profondamente il suo sguardo, dice Cima, è stata la presenza costante degli anziani: nonne, balie, vicini di casa, figure che riempivano l’infanzia di racconti, credenze, miti locali. «Una vera epica contadina», sintetizza, «fatta di leggende, proverbi, ritualità».
Solidarietà, fatica e conflitti: la vita di comunità
Una delle chiavi di lettura del libro è l’idea di comunità, oggi sempre più rara. «La vita era condivisa», ricorda Cima. «Ci si aiutava con il fieno, si correva in soccorso in caso di maltempo, si vegliavano gli animali durante le notti difficili. Non era un mondo idilliaco: le liti erano frequenti, ma c’erano anche calore e solidarietà». Un patrimonio umano che, secondo l’autore, la modernità ha in parte eroso: «Oggi capita di non vedere i propri vicini per settimane. Abbiamo perso qualcosa di importante».
Tra emigrazione, fabbrica e nuove tecnologie: un secolo di trasformazioni
Il filo conduttore dei racconti è il desiderio di «una vita migliore», una spinta antica che attraversa i personaggi del libro. «Non molto diversa», osserva Cima, «da quella dei piemontesi che nell’Ottocento partivano per l’America. Nel corso del Novecento, spesso il riscatto si cercava con un posto in fabbrica o un alloggio in città».
La raccolta esplora così il grande passaggio storico della valle — e dell’Italia — da un’economia agro-pastorale a una industriale-tecnologica. «È in questo campo di forze», spiega l’autore, «che si muovono sogni, paure, fragilità e delusioni di intere generazioni».
Palmira, la voce della comunità
Tra i 35 racconti, Cima è particolarmente legato al primo, che funge da sorta di “coro greco” dell’intera opera. La protagonista è Palmira, «una vecchietta che viveva vicino a casa nostra», afferma. «Era la mia balia asciutta, una presenza affettuosa che mi ha insegnato ad ascoltare gli anziani e a cogliere l’essenza delle cose, anche quelle più marginali, capaci però di rivelare poesia».
Un omaggio che diventa anche dichiarazione d’intenti: dare voce a una comunità che ha attraversato un secolo di cambiamenti epocali senza perdere la propria identità più profonda.
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