Attualità - 18 dicembre 2025, 16:52

Dagli sgomberi di Torino alla repressione contro il movimento per la Palestina: la presa di posizione di Cuneo per Gaza

La decisione del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi di fare sgomberare l’Askatasuna, va di pari passo con quella del Sindaco di Torino del PD Stefano Lo Russo di rompere il cosiddetto “patto” sulla sede del centro sociale

Dagli sgomberi di Torino alla repressione contro il movimento per la Palestina: la presa di posizione di Cuneo per Gaza

Riceviamo e pubblichiamo:

La decisione del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi di fare sgomberare l’Askatasuna, va di pari passo con quella del Sindaco di Torino del PD Stefano Lo Russo di rompere il cosiddetto “patto” sulla sede del centro sociale. Si procede così allo sgombero dello spazio, dopo quello già avvenuto ad agosto ai danni del Leoncavallo: un passaggio politico grave e rivelatore.

Il patto di collaborazione prevedeva la gestione condivisa dell’immobile di corso Regina Margherita 47 come “bene comune”, con alcune prescrizioni sulle modalità di utilizzo degli spazi e sulla sicurezza. Il sindaco ha annunciato la cessazione del patto dopo che la Prefettura ha accertato presunte violazioni, in particolare la presenza di persone nei locali ai piani superiori. Tuttavia, questa motivazione ci sembra un pretesto: la decisione si inserisce in una più ampia offensiva repressiva contro le mobilitazioni e le pratiche di dissenso politico.

Gli sgomberi non sono mai atti neutri: colpiscono luoghi vivi attraversati da generazioni di studenti, lavoratrici e lavoratori, artistə e attivistə, che costruiscono cultura, antifascismo, solidarietà e conflitto sociale. In un contesto segnato dal riarmo, dalla criminalizzazione del dissenso e da un crescente autoritarismo, queste operazioni servono a svuotare gli spazi di partecipazione e a silenziare chi rompe il consenso attorno alla guerra.

Dalla mattinata sono in corso perquisizioni nei confronti di una decina di persone, attivistə coinvolti nelle mobilitazioni del periodo “Blocchiamo tutto” e della lotta a fianco del popolo palestinese, in particolare nei cortei nelle stazioni, nelle iniziative contro l’industria bellica Leonardo e in altri momenti pubblici del movimento. Processi e indagini non stanno ancora accertando le responsabilità individuali, e la gestione dei conflitti sociali continua a ricorrere a misure repressive e violente, dimostrando il fallimento della politica. Contemporaneamente, corso Regina Margherita è stato completamente blindato, con un imponente dispiegamento di camionette e reparti della celere, per consentire lo sgombero.

L’intervento ha avuto anche ripercussioni sulla vita quotidiana della città: due scuole sono state chiuse e a 500 famiglie, all’ultimo momento, è stato impedito di accompagnare i figli a lezione. Si tratta di un chiaro esempio di spettacolariizzazione dell’azione delle forze dell’ordine.

Il dispiegamento di forze e la simultaneità delle operazioni rendono evidente che non si tratta di singoli atti giudiziari, ma di un attacco politico coordinato. Questo clima repressivo si inserisce in un contesto più ampio di gestione del dissenso, come dimostra la vicenda dell’imam torinese Mohamed Shahini, trattenuto per 21 giorni nel CPR di Caltanissetta in attesa di espulsione e poi liberato dalla Corte d’Appello di Torino. Sebbene Shahini sia stato rilasciato, l’intera questione ha suscitato forti critiche da parte del Governo italiano, con la premier Giorgia Meloni che ha attaccato la decisione dei giudici e sollecitato maggior impegno delle istituzioni nella tutela della “sicurezza” nazionale.

La consapevolezza è chiara: repressione interna e guerra esterna sono due facce della stessa medaglia. Gli sgomberi di Askatasuna e del Leoncavallo non sono semplici interventi amministrativi, ma fanno parte di una strategia politica volta a ridurre gli spazi di conflitto e partecipazione sociale. Colpire questi luoghi significa interrompere reti di solidarietà, mutualismo e cultura politica che da anni si oppongono alle disuguaglianze, alla logica del profitto bellico e alla militarizzazione della società.

Lo sgombero va oltre la rimozione fisica degli occupanti: è un messaggio politico a chiunque voglia organizzarsi, dissentire e costruire alternative concrete alla guerra e alla marginalizzazione sociale. Contemporaneamente, il sistema politico continua a investire nel riarmo, sostenere l’industria bellica e mantenere rapporti con Stati responsabili di violenze e genocidi, come Israele.

Questi sgomberi rappresentano un atto di normalizzazione della repressione, volto a indebolire chi costruisce contrappesi al consenso dominante. Chi resiste difende non solo uno spazio, ma principi di libertà, solidarietà e conflitto sociale indispensabili per una società più giusta.

Rifiutiamo la criminalizzazione del dissenso e le politiche securitarie che limitano il diritto di manifestare e organizzarsi. Esprimiamo solidarietà agli attivistə e a chi continua a mobilitarsi contro la guerra e il genocidio: la solidarietà con il popolo palestinese, la critica alla guerra e la difesa degli spazi sociali sono pratiche politiche legittime e necessarie.

Cuneo per Gaza


 

cs

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