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| 04 maggio 2016, 06:30

Quando il glamour in..calza

Disegno di Danilo Paparelli

Disegno di Danilo Paparelli

A febbraio è stata festeggiata la “Giornata dei calzini spaiati”, segno che il problema della calza che improvvisamente si trova ad essere single è molto sentito. A me non è quasi mai capitato. Miracolosamente nel tragitto che va dal cestino-cose-da-lavare alla lavatrice al cassetto della biancheria, le mie calze non si perdono, non finiscono in un'altra dimensione, come succede a tantissime persone. Stanno in coppia, direi felicemente; o forse no, solo apparenza. Si sopportano ma fanno finta di niente.

Dei due, però, uno è sempre più consumato dell'altro. Il tallone liso, uno o più buchi che si allargano a vista d'occhio. Fino a decretare la morte del calzino per usura. Il destro lavora più del sinistro, o viceversa. A quel punto, si sottopone ad eutanasia anche l'altro. Che senso può avere la sopravvivenza del superstite quando diventare unici non serve più a niente?

Eh sì, è dura la vita dei calzini. Sono al servizio delle nostre estremità, totalmente. La loro ragione di vita è assecondare il piede, proteggerlo, scaldarlo e, non in ultimo, vestirlo. Perché nudo, il piede, è un po' squallidino. Sta lì, in basso, umile. Passa buona parte del tempo nascosto, quasi timido. Per tanti mesi, per colpa del freddo. C'è ma non si vede.

Da qualche tempo però assistiamo alla riscossa delle caviglie, sebbene non saprei se possono dirsi far parte dei piedi. Il risvolto dei pantaloni le lascia libere, e il calzino scompare nella calzatura (che il più delle volte è una sneaker – la vecchia scarpa da ginnastica – che mal si adatta alla temperatura di stagione). E’ il famigerato “fantasmino”, così tanto vituperato ma sicuramente comodo. Ho notato molte caviglie livide per il freddo, quest'ultimo inverno. Ma sembra che i loro “proprietari” non se ne dolgano più di tanto. Può essere che da qualche decennio la percezione del freddo sia cambiata. Ai miei tempi oltre alle calze ci mettevamo pure gli scaldamuscoli. Non un centimetro di pelle restava all'aria. (Apro un inciso. A 15 anni d'inverno si andava in giro “imbottitissimi”; i teenager attuali sono vestiti uguali in tutte le stagioni, cioè poco).

Da bambina la ricordo come uno strumento di tortura: la calzamaglia di lana. In uso anche questa nei tempi andati, anche perché oggi di lana non c'è quasi più niente. Era terribilmente fastidiosa, anzi odiosa. Pungeva dappertutto, tirava sotto il cavallo. E non teneva neanche troppo caldo, se non quando le temperature erano già era alte di suo, e allora veniva voglia di strapparsela di dosso.

Qualche anno dopo sono passata ai gambaletti, in lana o cotone, a seconda delle stagioni. Quelli di una volta avevano questa caratteristica: dopo un po' che li lavavi, l'elastico si smollava e mentre camminavi le calze scendevano giù. Le ritiravi su, avevi il tempo di fare due passi e loro scendevano giù. Di nuovo. Allora lo si diceva alle mamme: “Queste calze sono sempre molli, non stanno su”, ma non ti davano retta. Continuavi a metterle fino a che non si bucavano. A quel punto si rammendavano, infilando dentro l'uovo di legno. E si continuava fino a che i rammendi sui rammendi non tenevano più . Solo a quel punto si comprava un nuovo paio di calze. Non eravamo affatto poveri, eppure a quei tempi funzionava così. Le calze infatti non avevano ancora una funzione estetica, non dovevano essere esibite. Pian pianino sono andate trasformandosi.

Ormai anche il calzino fa status symbol fino ad essere diventato un pretesto: se la prendono con loro per attaccare la persona. Uno che non ha buon gusto nell'indossare neppure una cosa così semplice, dev'essere sicuramente una persona che “non va”. Come per il famoso servizio di un telegiornale tv che aveva ripreso un giudice, reo di aver sentenziato sul cosiddetto “Lodo Mondadori”: il magistrato indossava calzini turchesi con mocassini bianchi. Diamine, sono cose che non si fanno!


Monica Bruna

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