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In Breve

| 31 dicembre 2016, 11:28

Non è un paese per secchi

Non è più Corpo il loro ma quello che viene dopo.

Non è un paese per secchi

Accettarlo infine, il periodico invito del nostro amico fieramente obeso alla quindicinale adunata fra taglie XXL ottenendo il pass delight per visitatori al di sotto del quintale e venti. Sentirsi anoressici a novanta chili varcando il portoncino della villa col battente a testa di maiale in bronzo cesellato e ritrovarsi in un incrocio fra un quadro di Botero e uno stabilimento “balenare” per subire gli sguardi schifati di matrone i cui occhi sono grani di pepe rincalzati nel ciauscolo.

Seguire il fondoschiena ad ante calibrate del nostro anfitrione che ci illustra la scansione a gironi alimentari della villa, dal piano terra ad antipasti fino all’attico dei dessert con mansarda di liquori digestivi, il tutto raggiungibile in ascensore con poltroncine a due piazze e ascensorista, ugualmente obeso, con in testa un berretto a tubo che sembra una maxi-confezione rovesciata di pop-corn.

Osservare attoniti chilometri di prosciutto crudo su vassoi simili a portaerei  con fette di melone a dondolo e un eccidio di fichi  in polpa misti a conurbazioni di tartine sbranate da commercialisti e avvocati che in questo colorato affresco gastronomico condividono involontariamente l’assunto-base d’ogni paganesimo: l’assenza di senso di colpa.

Pattinando sul pavimento unto di vapore di scolo districarsi fra fiamminghe di spaghetti arrotolati in bocconi grandi come nidi di cicogna mentre un repellente sottofondo di gorgoglii e risucchi aleggia fra titaniche porzioni che ci trasformano in un Robinson Crusoe al contrario, farlo meditando sull’autoassolutorio e in fin dei conti amorale appetito che ha trasformato tali obesi in esseri super-umani in grado di, deformandosi, superare la forma e, diventando oggetto, superare il soggetto.

Non è più Corpo il loro ma quello che viene dopo.

Ascendere al piano dei secondi sudando alla vampa luciferina dei camini che arrostiscono greggi di pecore e stormi di volatili con bracieri sfrigolanti e spiedi rotanti in una canicola uterina dove le molli fattezze ciccionanti si muovono al rallentatore quasi in un’ebete sauna infernale. Approdare, guidati dal nostro diabetico Virgilio (con un sospetto dolore al braccio sinistro dato dal troppo entusiastico mostrare) al piano dei dolci e lì, ammazzati dall’ammazzacaffè, proprio vederli sui divani a continente più che a penisola, i sopravvissuti dei piani inferiori, che pasteggiano a tiramisù e sfere atlantiche di profiteroles, fra cervini trionfi di panna spray su millefoglie a schiera in un paesaggio ondulato dalla crema pasticcera e vulcanizzato dal cacao in polvere.

E lì, nella Giudecca del peccato di gola, vederla tracimare da un’ottomana estesa come un vagone ferroviario, tra un nudo felliniano e la gigantessa baudeleriana, la mamma d’Italia che allatta tutti, col procace seno impreziosito dall’impudico vezzo d’un neo ad inchiostro, sedersi fra sovradimensionati bambini ad aspettare il proprio turno: per bere il latte dell’oblio e non essere più cittadini.

De Mazan

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