In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti (Mc 9,2-10).
Oggi, 25 febbraio, la Chiesa giunge alla II Domenica di Quaresima (Anno B, colore liturgico viola).
A commentare il Vangelo è Claudio Bo, diacono della chiesa Battista di Mondovì. Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole per accendere le ragioni della speranza che è in noi.
Eccolo, il commento.
"Questo versetto di Marco (come i sinottici di Matteo e Luca) ha una straordinaria potenza profetica e teologica. Seguendo con ordine la narrazione biblica, ecco che Gesù sceglie di mostrarsi, trasfigurandosi nella sua natura umana e divina, a tre dei suoi discepoli, evidentemente quelli più vicini: ovviamente Pietro, quindi Giovanni (nella tradizione antica “il discepolo che tanto amava” e comunque indicato come l’autore del quarto Vangelo in cui, fra l’altro, questo episodio non viene narrato) e Giacomo il maggiore, da distinguersi da Giacomo il minore che varie confessioni cristiane considerano uno dei fratelli di Gesù.
I tre, per la verità, pur assistendo al prodigio, non ne compresero il significato, quantomeno nell’immediato.
Ed ecco che con il Cristo appaiono Elia e Mosè, intenti a conversare. Mosè è colui che portò agli uomini le tavole della Legge di Dio, in sostanza il custode dell’antico Patto; l’Elia è il primo profeta, ma anche il profeta del Cristo (taluni teologi identificano il Battista come il nuovo Elia), colui che volò in Cielo corpo e anima e che sarà il precursore dell’Apocalisse. La sua importanza era tale che gli stessi apostoli chiesero al Cristo: «Sei tu l’Elia»?
La visione ha un significato potente: la Redenzione della Buona Novella riguarda tutta l’umanità da sempre e per sempre, perché l’antico e il nuovo patto si incontrano su quella collina (forse il monte Tabor) per testimoniare l’eternità del Cristo e del Verbo.
Mentre per noi il Verbo (quello che era in principio, come scrive proprio Giovanni) si manifesta in un preciso momento storico, nel disegno di Dio pervade l’intera Scrittura e l’intero Universo.
In questi passi biblici ci confrontiamo col concetto di tempo divino che nulla ha a che fare con la nostra misurazione quotidiana. Il tempo della redenzione, quello dell’Eden, quello dell’Apocalisse e, principalmente, il tempo del Regno sono per noi inimmaginabili, paradossali. Sostanzialmente non collocabili nel nostro tempo, eppure straordinariamente presenti.
Pensate all’Avvento del Regno. Noi siamo portati a collocarlo alla fine dei tempi, ma il Regno del Dio Trinitario è sempre stato e sempre sarà. Eppure, noi possiamo sperimentarlo nel quotidiano rapporto col Creatore, nella preghiera e nella carità.
Perché allora questo “summit” divino davanti agli impauriti discepoli? Perché il “tempo si stava per compiere”. Anche qui il concetto di tempo da assoluto diventa storico. Si compie il sacrificio per le colpe dell’umanità e la Resurrezione che libererà l’uomo dal peccato e dalla morte. Perché ciò che dobbiamo testimoniare ha bisogno di un “dove” e di un “quando”.
Ed è la voce di Dio a rivelare per i discepoli la vera natura di Gesù, una voce che non ha corpo e, forse, neppure suono. Quando le nuvole scompaiono, scompare anche la visione, Cristo è solo ed è vicino a loro.
Ma è sulla via del ritorno che il Messia predice la sua morte e la sua resurrezione con una disarmante semplicità: «Non dite a nessuno quello che avete visto, se non quando sarò risorto dai morti».
I tre tacciono e manterranno un segreto che neppure loro hanno compreso, avevano visto l’inimmaginabile e avevano ascoltato la voce di Dio, ma continuavano a ragionare col metro di tutti noi umani e si chiedono come Dio possa fare qualcosa che per l’uomo è controintuitiva. In fondo, ci assomigliano un po'".