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| 22 aprile 2015, 07:15

Quando con l'automobilina di un museo si mette in moto la nostalgia

Disegno di Danilo Paparelli

Disegno di Danilo Paparelli

Il “Museo del giocattolo”, che si trova a Bra presso la biblioteca comunale, è bellissimo e altrettanto poco conosciuto. Entri, l'atrio è anonimo, non ti aspetti granché: non puoi immaginare che stai per entrare in contatto con ricordi dimenticati da decenni che ti inonderanno senza pietà.

Prendi il biglietto e chiedi da dove si inizia. No, no, non si va da soli, la visita è guidata. Seguo il l’addetto al museo che ci conduce su per una altrettanto anonima rampa di scale. Penso “saranno due cosette in croce, cinque minuti e saremo fuori”. Invece ci passiamo mezzo pomeriggio. Il gentile e competente accompagnatore (un po' “giocattolo” anche lui nell’aspetto, tanto da inserirsi perfettamente nell’ambiente fantastico che circonda il visitatore), apre la prima delle sei sale che raccolgono più di mille oggetti raccolti dall'antiquario braidese Michele Chiesa, che iniziò quasi per caso – come capita quasi sempre per le collezioni di ogni tipo- acquistando vecchi giocattoli da rivendere nel suo negozio. Fu il figlio Giovanni, racconta la guida, che si puntò e vietò al padre di cedere ad un acquirente il cavallino con le ruote che considerava già suo, pezzo da cui partì la raccolta.

Gli ambienti sono tematici: la prima infanzia, le bambole, la scuola, i giochi maschili, gli aerei e i mezzi a pedale i teatrini e i fumetti. Guardandosi intorno, si capisce quanto il business dell'infanzia sia recente. Fino ai primi anni del Novecento i giocattoli erano un prodotto artigianale. I poveri se li costruivano da sé e i ricchi se li facevano fare dagli artigiani poveri. Pochi esemplari per ogni pezzo, o addirittura pezzi unici, erano tenuti in considerazione dai bambini come un tesoretto da tenere bene, che se lo rompevi poi rimanevi senza. Così, giocattoli come nuovi appartenuti a bambini ricchi stanno nelle vetrinette accanto ad altri consunti da troppi maneggiamenti di bimbi proletari. Alcune bambole sono bruttissime, altre spaventose perché senza capelli e con le facce sfigurate dal tempo. Fanno impressione i primi bambolotti fatti in serie, quelli del regime fascista, che avevano l'intento di omologare le “piccole italiane” e i “figli della lupa” secondo gli stereotipi della propaganda mussoliniana.

Nell'aula del primo Novecento ricostruita c'è un banco in legno con il piano apribile e penna e calamaio e libri, quaderni (perfetti, senza una sbavatura, calligrafia e disegni di una precisione oggi scomparsi), matite, pallottolieri, cestini per la merenda, pagelle e cartelle (minuscole, allora gli scolari non si portavano le tonnellate di libri come oggi). A seguire, i giochi maschili, restati nel concetto, praticamente immutati con il passare del tempo. I maschietti giocavano, giocano e giocheranno sempre con questi oggetti: macchinine, pistole, fucili mezzi da lavoro in scala che rivelano la loro antichità solo nei materiali e nelle forme.

Bellissima (come del resto anche le altre, impossibile fare una scelta) la sala degli aerei e dei mezzi a pedale. Dal soffitto pende sospeso da cavi d'acciaio un grande aereo di metallo costruito con i resti di un vero aereo militare italiano, che era finito ingloriosamente come mobile porta liquori nel salotto di una signora e recuperato (per fortuna) dall'antiquario Chiesa. Fra le tante macchine a pedali ne noto subito una che mi è famigliare: quelle che negli anni Sessanta- Settanta si affittavano al parco del Valentino a Torino. Sì, proprio quelle che mi piacevano tantissimo finché non ci ero salita e subito dopo mi ero messa a piangere: non ne voleva sapere di muoversi, pesantissima com'era riuscivo a spostarmi di pochissimi metri per poi restare ferma, bloccata. E poi mini calessini con cavalli a ruote, visti recentemente ancora in uso in un parco ad Avignone.

L'ultima sala è dedicata ai fumetti e ai teatrini, “professionali” e altri più piccoli e casalinghi con i burattini e le marionette. I bambini continuano anche oggi a restare incantati dagli spettacolini perché semplici e perché stuzzicano la fantasia nonostante tutti i mezzi moderni di intrattenimento infantili, cui sono ormai totalmente assuefatti.

Finita la visita, merita dare un'occhiata al libro con i commenti dei visitatori. Insieme alle tante osservazioni dolcemente nostalgiche degli adulti, quelle dei bambini sono, come al solito sorprendenti. Ne cito una per tutte, lapidaria: “MI E' PIACIUTO IL MITRA”.

Per tutte le informazioni visitare il sito del museo: www.museodelgiocattolobra.it

Monica Bruna

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