In “Homer & Langley” E.L.Doctorow, uno dei più importanti scrittori americani recentemente scomparso, raccontava la storia dei fratelli Homer e Langley Collyer, figli di una famiglia benestante di Harlem, che alla morte dei genitori iniziarono ad accumulare cose in modo compulsivo, sottraendosi al mondo e alla società. Langley, che aveva una speciale predilezione per i giornali, morì travolto da una massa di cose, mentre Homer, cieco e completamente dipendente dal fratello, finì per morire di fame. Ogni volta che apro l'armadio rischio anch'io di finire come Langley, sepolta dai vestiti o dalle scarpe (argomento che qui non tratterò: in quanto maniaca quindi “malata”, ne ho così tante che non saprei quantificarle). Sfortunatamente, non tutti sono come l'artista Arman che con le accumulazioni s'è fatto una splendida e remunerativa carriera.
Quasi nessuno resiste alla tentazione di ammassare le cose più disparate. Di qualsiasi oggetto, che sia l'utensile di cucina, l'abito, il soprammobile o il giocattolo, è ormai quasi impossibile che ne teniamo in casa un unico esemplare. Come invece capitava nello scorso millennio. In cucina, per dire, avevamo UN cavatappi, non tre o quattro, oppure UN frullino, non due o tre robot comprati “perché sono più completi di un semplice sbattitore”, che poi giacciono nelle loro scatole, usati una o zero volte. E varie paia di forbici, un numero imprecisato di phon, di sveglie, per non parlare di quegli oggetti inutili, ma tanto carini, che ti regalano ai compleanni, feste di addio all'ufficio, ai natali, e ai matrimoni. Come i candelabri. Io ne ho un sacco, ma che me ne faccio? La loro funzione principale sarebbe quella di creare “atmosfera”, e poi uno li tiene sempre lì perché “potrebbero servire se va via la luce”. Neanche fossimo in guerra. Il problema per la generazione alla quale appartengo, è che siamo cresciuti con genitori, nonni, che la guerra l'avevano vissuta veramente e avevano anche patito anni di vera povertà, cosicché l'unico pezzo di sapone se lo facevano durare per mesi, e quello di scorta lo custodivano gelosamente fra la biancheria (per profumarla), finché l'altro si era completamente consumato. Noi, ne teniamo in dispensa delle vere e proprie scorte, a panetto, liquido, sapone-non-sapone, quello delicato, quello per lo scrub, eccetera.
E vogliamo parlare dei centrini, un dono preziosissimo, secondo le vecchie zie, che quando ce li regalavano, avviluppati in carta rigorosamente riciclata in ottimo stato, quasi si commuovevano? Sui quali poggiavano foto incorniciate o statuine di porcellana, magari il pagliaccio in vetro di Murano o il trofeo vinto alle bocce. Cose preziosissime, un tempo. Oggi, paccottiglia inutile, sostituita da altra paccottiglia contemporanea ancora più inutile. Come i vari gadget elettronici, dalle cornici digitali agli stimolatori muscolari fino alle consolle per i videogiochi, che sarebbero da sostituire in perpetuo con i modelli più nuovi.
Altro capitolo: l'oggettistica delle feste e in particolare quelle natalizie. Festoni, ghirlande, alberi già belli che decorati, ogni anno i negozi ne propongono sempre di più accattivanti così si finisce per cedere e comprare l'ennesima pallina o il centesimo pupazzetto, destinati ad avere vita espositiva di appena un mese. Un'altra pallina e un altro pupazzo, ancora più belli sono già li che ci aspettano a tentarci per il prossimo anno.
Con il passare degli anni, però, tendo ad essere più affezionata a poche cose per il loro valore affettivo. E così ho acquistato anche io il libro “Il magico potere del riordino” di Marie Kondo che ha venduto due milioni di copie in Giappone, ed è stato nei primi posti delle classifiche anche in Italia. Come insegna la filosofia zen, il riordino fisico è quasi un rito che dà (o dovrebbe dare) sollievo spirituale. Ciò che di fatto mi servirebbe, per sbarazzarmi della quantità di roba senza un suo perché nascosta in qualsiasi tipo di spazio, apposta per non farsi trovare. Del “Il magico potere del riordino”ne ho letto un pezzo, e ora si trova in mezzo al marasma degli altri libri di cui avrei dovuto sbarazzarmi, se solo avessi seguito i suoi insegnamenti.