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Ultim'ora | 23 dicembre 2025, 22:07

Covid, Consulta: "Infondate questioni legittimità obbligo vaccino e Green pass"

Covid, Consulta: "Infondate questioni legittimità obbligo vaccino e Green pass"

(Adnkronos) - Sono infondate le questioni di legittimità costituzionali, sollevate dal tribunale ordinario di Catania, in merito ad alcune norme varate per fronteggiare l'emergenza Covid. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza numero 199, depositata oggi, che ha messo sotto la lente di ingrandimento alcune norme del decreto-legge 21 settembre 2021, numero 127 (Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l'estensione dell'ambito applicativo della certificazione verde Covid-19 e il rafforzamento del sistema di screening) e del decreto-legge 7 gennaio 2022, numero 1 (Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza Covid-19, in particolare nei luoghi di lavoro, nelle scuole e negli istituti della formazione superiore).  

"La prima disposizione - hanno spiegato in una nota della Consulta - ha stabilito che, nel periodo dal 15 ottobre al 31 dicembre 2021, per accedere ai luoghi di lavoro, il personale del settore pubblico dovesse possedere ed esibire una certificazione da vaccinazione, guarigione o test (cosiddetto Green pass base) e che, in mancanza, il lavoratore fosse considerato assente ingiustificato senza diritto alla retribuzione né altro compenso o emolumento. La seconda disposizione, a far data dalla sua entrata in vigore e fino al 15 giugno 2022, ha sancito l'obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni, disponendo che, a decorrere dal 15 febbraio 2022, i lavoratori destinatari di tale obbligo, ai fini dell'accesso al luogo di lavoro, dovessero possedere ed esibire una certificazione di vaccinazione o guarigione (cosiddetto green pass rafforzato) e che, in caso di mancato possesso della suddetta certificazione, fossero considerati assenti ingiustificati senza diritto alla retribuzione né altro compenso o emolumento".  

Per la Corte, in primo luogo, l'obbligo vaccinale disposto nei confronti dei soggetti ultracinquantenni "risponde a una valutazione non irragionevole delle evidenze scientifiche che individuavano nei primi i soggetti più esposti alla malattia severa" e rappresenta una misura "non sproporzionatamente preordinata a tutelare la salute pubblica, in quanto rivolta a proteggere i soggetti più fragili, a contenere il carico ospedaliero, oltre che, pur sempre, a ridurre la circolazione del virus". Per altro profilo, la Consulta "ha escluso la violazione" dell'articolo 32, primo comma, della Costituzione, rimarcando che "le evidenze scientifiche disponibili al momento di entrata in vigore dell'obbligo vaccinale confermano l'efficacia della vaccinazione anti Covid-19 come misura di prevenzione fondamentale per contenere la diffusione dell'infezione" e che, secondo le conclusioni dell'Aifa e dell'Iss sulla sicurezza dei vaccini anti Covid -19, "la maggior parte delle reazioni avverse ai vaccini sono non gravi e con esito in risoluzione completa", mentre "le reazioni avverse gravi hanno una frequenza da rara a molto rara e non configurano un rischio tale da superare i benefici della vaccinazione".  

Quanto alla necessità per il lavoratore non vaccinato o non guarito di "sottoporsi ogni due giorni al tampone", per ottenere il Green pass base per accedere al luogo di lavoro, la Corte ha escluso che la stessa sia lesiva della dignità personale in quanto "non implica alcun apprezzamento negativo della persona che vi è sottoposta" e "non appare in grado di provocare sofferenze fisiche significative". La Corte ha poi affermato che le conseguenze del mancato adempimento agli obblighi previsti dalle disposizioni impugnate ai fini dell'accesso ai luoghi di lavoro non ledono né il diritto al lavoro e alla retribuzione (articoli 4 e 36 della Costituzione), né il diritto alla dignità personale (articolo 2 della Costituzione), né il principio di ragionevolezza e proporzionalità (articolo 3 della Costituzione), in quanto sono comunque "frutto di una scelta individuale" e perché l'inosservanza dei suddetti obblighi "assume una rilevanza 'meramente sinallagmatica' sul piano delle condizioni nascenti dal contratto di lavoro, nel senso che il loro inadempimento rende la prestazione non conforme alle regole del rapporto, giustificando così la preclusione a svolgere l'attività lavorativa e la conseguente privazione della retribuzione e di ogni altro compenso o emolumento" (le stesse considerazioni valgono ad escludere la dedotta violazione dell'articolo 32, secondo comma, della Costituzione)".  

Da ultimo, la mancata erogazione dell'assegno alimentare in favore del lavoratore inadempiente non determina alcuna disparità di trattamento rispetto al lavoratore sospeso dal servizio a seguito di sottoposizione a procedimento penale o disciplinare. In questi ultimi casi, infatti, ha aggiunto la Corte costituzionale, il riconoscimento dell'assegno alimentare si giustifica "alla luce della necessità di assicurare al lavoratore un sostegno quando la temporanea impossibilità della prestazione sia determinata da una rinuncia unilaterale del datore di lavoro ad avvalersene", mentre diverso è il caso in cui, per il fatto di non aver adempiuto ai suddetti obblighi, "è il lavoratore che decide di sottrarsi unilateralmente alle condizioni di sicurezza che rendono la sua prestazione lavorativa, nei termini anzidetti, legittimamente esercitabile". 

 

webinfo@adnkronos.com (Web Info)

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