Una Pasqua precoce, quella che sta per arrivare, ancora fredda, con la neve, con i cappotti, con i piumini. La voglia di dare addio all'inverno, finalmente, dopo lunghi mesi di buio, di gelo, di sciarpe di lana, di scarpe imbottite, di calzettoni e di guanti, che quest'anno, forse (lo dicono le previsioni del tempo) ce la dovremo tenere ancora per un po'.
Così, in questi giorni la domanda ricorrente già un mese prima “cosa fai per Pasqua?” è seguita da un rassegnato “dipende da come sarà il tempo”. Perché tutti attendono questa festività come la prima vera piccola vacanza dopo le feste natalizie. Una ricorrenza che vede la sua sorgente di origine religiosa passare in secondo piano. Quello che conta veramente è riuscire a riuscire a farsi una pausa dal lavoro - di tre giorni al massimo – tempo permettendo. E se non sono tre giorni, allora ecco il classico picnic di Pasquetta.
Da piccoli, con i genitori e i parenti, si caricavano le auto e si partiva, di solito per andare non troppo lontano dalla città. Era difficilissimo riuscire a trovare un posto che non fosse già affollato di persone, perché nonostante le buone intenzioni, noi si arrivava sempre in ritardo. E così, dopo lunghe discussioni se fosse meglio mettersi lì o piuttosto là, (guarda che c'è più ombra, sì ma è anche tutto umido) toccava accontentarsi di un fazzoletto di terreno, di solito mai pianeggiante, con tutti che si lamentavano per qualcosa. Poi, al termine di una giornata che sembrava lunghissima, ci si metteva in macchina e, per chi come noi tornava a Torino, un altro interminabile viaggio per ore, perlopiù fermi in coda.
Raggiunta poi l'età che ti permetteva finalmente di andartene per i fatti tuoi, c'era il ragazzino o la ragazzina della compagnia che otteneva dai genitori l'uso della casa di campagna. L'idea di partenza era sempre quella di mangiare sul tavolaccio fuori nel giardino, sotto il pergolato, ma poi si finiva per rintanarsi in casa, dove i posti più ambiti erano quelli vicini al tepore della stufa, perché pioveva sempre e faceva un freddo cane e la casa era umidiccia e fredda, perché era stata chiusa durante tutto l'inverno. “Sono venuti su i miei qualche giorno fa, per scaldarla un po'”, dicevano i padroni di casa, ma visti i 16 gradi scarsi c'era da dubitarne fortemente.
E poi il classico regalo di Pasqua : le uova di cioccolato. Adesso ce ne sono di carinissime (e anche care di prezzo, in realtà), soprattutto quelle artigianali, tutte decorate a mano, che dispiace persino romperle e mangiarle: le vorresti tenere per sempre così come sono, soprammobili edibili e tendenti al bianchiccio (il cioccolato invecchiato). Le uova di fabbricazione industriali, invece, sono appetibili solo per le sorprese, che però di sorprendente hanno sempre poco. Quest'anno alcune uova la “non-sorpresa” l'hanno già attaccata alla confezione. Le uova di Sponge Bob, ad esempio, hanno proprio il simpatico pupazzzetto incollato sopra l'etichetta, e la trovo una cosa furba. Almeno siamo sicuri che lui c'è.
A casa nostra, in questo momento, Sponge Bob sta tenendo compagnia all'uovo di Peppa Pig, (la vera sorpresa nel panorama dei produttori di uova di quest’anno) che però cela al suo interno il vero regalo: troveremo proprio il suo pupazzetto? O quello di George, il fratellino? O Papà Pig? O Mamma Pig? Necessita avere ancora un po' di pazienza e attendere qualche giorno, quando noi due, ex bambini, la mattina di Pasqua, con un sorriso infantile stampato sul viso, apriremo le uova, per cercare, innanzitutto, l’emozione di quando da piccoli aprivamo disincantati e speranzosi le uova di cioccolato.




