"Renzo...!" disse quello, esclamando insieme e interrogando. "Proprio", disse Renzo; e si corsero incontro. "Sei proprio tu!" disse l'amico, quando furon vicini: "oh che gusto ho di vederti! Chi l'avrebbe pensato?" E, dopo un'assenza di forse due anni, si trovarono a un tratto molto più amici di quello che avesser mai saputo d'essere nel tempo che si vedevano quasi ogni giorno (…) Raccontò anche lui all'amico le sue vicende, e n'ebbe in contraccambio cento storie, del passaggio dell'esercito, della peste, d'untori, di prodigi. "Son cose brutte", disse l'amico, accompagnando Renzo in una camera che il contagio aveva resa disabitata; "cose che non si sarebbe mai creduto di vedere; cose da levarvi l'allegria per tutta la vita; ma però, a parlarne tra amici, è un sollievo" (A. MANZONI, I Promessi Sposi, cap. XXXIII)
Ecco. Se Renzo ed il suo amico fossero stati nostri contemporanei, altro che “assenza di forse due anni”. Le loro “cento storie” se le sarebbero raccontate in diretta, o al massimo pochi minuti dopo che erano accadute. Grazie a Facebook, il più famoso e usato fra i cosiddetti social network. Sono ormai più di un miliardo di utenti che si affidano alla creatura di Mark Zuckerberg scambiandosi pensieri, opinioni, virtualmente. Accade difficilmente che Facebook sia alla base di una vera amicizia, a meno che l'amicizia, quella concreta, effettiva, fisica, non esista già. Altrimenti capitano richieste di diventare tuo amico da parte di persone improbabili, con i quali, nella vita reale, non andresti neppure a prendere un caffè. Gente con cui alla fine non c'è uno scambio di idee, non c'è un passaggio di emozioni, ma, al massimo, battutacce, filmati, foto riciclate da altri che girano sul web.
Ho resistito alquanto prima di finire nella rete di Facebook. Mi sembrava una roba da ragazzini, cosa che poi effettivamente è. Frasi fatte, retoriche, riprese dall'uno e passate a centinaia di altri e poi ripetute all'infinito, su mille profili e mille bacheche, immagini praticamente tutte uguali di adolescenti che si fanno fotografare mentre si stanno “divertendo” con la lingua fuori, in pose improbabili e sboccate. In tanti eppure isolati nel loro cubicolo elettronico. Tutto ciò non poteva fare per me.
Ma se è una persona adulta, diciamo “seria” quella che se ne serve, allora Facebook può diventare uno straordinario mezzo per stare vicini a chi è lontano. Genitori che restano sintonizzati sulla vita dei figli lontani, in Nuova Zelanda, per dire. Vecchi compagni di scuola che si ritrovano: dove vivi? Sei sposato? Figli? E tutto può finire lì, perché alla fine non abbiamo più 8 anni, forse siamo anche cambiati, nel frattempo, oppure no. La decisione è presa. Ci si vede. Veramente. Fissato l'appuntamento, si sale in macchina, si macinano chilometri e ci si re-incontra, con rughette, chiletti di troppo, e ci si riscopre, forse anche migliori di quanto ci si ricordasse. E poi tutto finisce in quel pomeriggio rubato a mille impegni, o anche no, perché il filo che ci aveva legati da bambini, non si è più spezzato.
Se poi la pigrizia ha il sopravvento, e non si ha voglia di postare foto, filmati, barzellette, da condividere con 541 “amici”, allora tanto vale affidarsi alla vecchia, cara e-mail, che ti mette in contatto proprio con quella persona lì, e nessun altro, una versione moderna ed aggiornata della carta, penna, e calamaio. Un “caro amico ti scrivo” elettronico, ma caldo, con l'emozione intatta dell'attesa di una risposta, veloce e impalpabile.