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Cronaca | 25 marzo 2023, 07:24

Intimidazioni e pizzo a un barista di Borgo: sentenza ribaltata dalla Corte di Appello

Nata come una 'chiacchiera di paese' l'Operazione Pizzo, conclusasi nel 2016, aveva portato al rinvio a giudizio di quattro persone. Uno di loro, condannato a sei anni e due mesi di reclusione dal Tribunale di Cuneo, è stato assolto dalla Corte di Appello per non aver commesso il fatto

Immagine tratta dal video "Operazione Pizzo"

Immagine tratta dal video "Operazione Pizzo"

C’erano minacce, intimidazioni e richieste di denaro all’ombra dell’inchiesta giudiziaria denominata “Operazione Pizzo” (LEGGI QUI) portata a termine dai Carabinieri della compagnia di Borgo San Dalmazzo nel 2016.

Una vicenda, quella portata nelle aule del tribunale di Cuneo, nata come una classica “chiacchiera di paese”, ma che si è poi rivelata essere una vera e propria operazione di estorsione ai danni del titolare di un bar alle porte di Borgo San Dalmazzo.

B.V., la ‘mandante’ delle estorsioni, deceduta qualche anno fa, aveva venduto il locale di Borgo nel 2015 a una coppia di cuneesi. La donna sostenendo di dover ancora ricevere dagli acquirenti alcune migliaia di euro, si era rivolta a padre e figlio D.P. e G.M.P. per andare a riscuotere quanto le sarebbe spettato.

Dopo le minacce di morte e le continue richieste di denaro, il nuovo titolare del locale, si era rivolto ai Carabinieri che avviarono le indagini. L’operazione Pizzo aveva portato all’arresto in flagranza di G.M.P. che aveva appena ricevuto 700 euro dal proprietario del bar. L’uomo, pregiudicato calabrese e residente nel Saluzzese, e B.V., ex-proprietaria dello stesso bar, erano stati condannati con rito abbreviato. Per loro la sentenza è passata in giudicato.

Ad aver scelto di andare al dibattimento con l’accusa di estorsione aggravata in concorso erano stati D.P.,padre di G.M.P., e A.P., suo cugino.  Dopo l’arresto in flagranza G.M.P. venne riconosciuto dal proprietario del bar come il soggetto a cui aveva dato i settecento euro, mentre il padre come la persona che gli fece la prima richiesta di estorsione. 

Nel marzo 2021 si concluse in tribunale a Cuneo il processo di primo grado a carico dei due imputati. Entrambi - accusati di estorsione aggravata in concorso – vennero condannati a pene severe: A.P., difeso dall’avvocato Antonio Vetrone, a 6 anni e 2 mesi di reclusione, al pagamento di 6200euro di multa e alla pena accessoria di interdizione dai pubblici uffici; D.P., assistito dal legale Fabrizio Filipponi, a 6 anni di reclusione e a 6000euro di multa.

La difesa di A.P., impugnata la sentenza, presentò ricorso al Tribunale della Corte di Appello di Torino. Nei giorni scorsi è arrivata la pronuncia da parte dei Giudici del Palazzo Bruno Caccia, che ha ribaltato completamente l’esito processuale di primo grado: l’imputato è stato assolto per non aver commesso il fatto.

Il pubblico ministero cuneese, nella sua requisitoria, aveva descritto la posizione di A.P. come "una presenza che serviva per accrescere il carattere intimidatorio delle estorsioni", sostenendo che in due occasioni lui, a bordo della propria auto, si sarebbe recato con il cugino G.M.P. al bar per riscuotere le somme di denaro alla vittima. “A.P. non ha detto nulla – aveva ricalcato il magistrato -. Ha accompagnato il cugino per trasmettere il messaggio che dietro di lui ci fosse un’associazione”.

Una tesi, questa, discorde a quella proposta dall’avvocato Antonio Vetrone che ha sostenuto la totale estraneità del suo assistito, convincendo anche i giudici della Corte di Appello: “La condotta del mio assistito non è sussumibile nel reato. Non ha mai minacciato, non mai chiesto denaro. Questa circostanza trova conferma nelle dichiarazioni della stessa parte offesa. Appare esserci una carenza degli elementi costitutivi della fattispecie di reato, nonché dell’apporto partecipativo alla commissione del reato altrui”.

CharB.

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