Gentile cittadino cuneese,
rispondo alla sua lettera pubblicata su TargatoCn a questo link:
Normalmente la sua opinione sarebbe solo un punto di vista tra tanti, e non meriterebbe particolare attenzione. Ma questa volta sento la necessità di rispondere perché il suo giudizio – rapido, sprezzante e privo di empatia – è lo specchio inquietante della società in cui stiamo precipitando. Una società che criminalizza il disagio, che sceglie di punire e isolare invece di riflettere.
La sua immediata condanna di un gesto di necessità è la manifestazione più brutale di questa cultura dell’esclusione. Non interessa più capire, non interessa più ascoltare. Conta solo stigmatizzare chi vive ai margini, chi non rientra nello stereotipo del cittadino consumatore e rispettoso delle regole.
Viviamo in città progettate per respingere, non per includere. Luoghi che ostentano modernità e “smartness” mentre si riempiono di panchine pensate per impedire a chi è senza casa di sdraiarsi, di braccioli, spuntoni metallici sulle superfici piane, che trasformano lo spazio pubblico in una prigione invisibile. Non sono servizi, ma vere e proprie barriere architettoniche e sociali, create per rendere invisibili e allontanare i più fragili.
Certo, si potrebbe discutere se ci fossero alternative migliori alla scelta di attaccarsi a quella scatola elettrica. Ma la verità è che, di fronte a un bisogno così elementare come quello di ricaricare un cellulare – oggi strumento indispensabile per comunicare, mantenere legami – chi non ha accesso ad alternative più dignitose è costretto a gesti non conformi. È questo il cuore della questione: non la scelta in sé, ma il contesto che la rende necessaria.
Chi si “attacca” a quella scatola non compie un atto di vandalismo, ma un atto di sopravvivenza. Eppure, riceve soltanto durezza, pregiudizio e condanna. Dov’è la vera inciviltà? Nel bisogno di chi non ha alternative o in una società che rigetta e punisce chi è più vulnerabile?
Ed ecco la vera assurdità: citare la Resistenza, proprio lei, il simbolo della lotta contro l’oppressione e l’ingiustizia, per giustificare un giudizio che è tutto fuorché solidale o inclusivo. La Resistenza è stata la lotta di chi ha rifiutato di accettare un mondo ingiusto, di chi ha combattuto per la dignità e la libertà di tutti, soprattutto dei più deboli. Non è un ornamento da sbandierare per condannare chi vive ai margini, né uno sfondo decorativo per passeggiate agiate.
La sua narrazione privilegiata e distaccata, fatta di passeggiate e fidi compagni a quattro zampe, è la stessa che permette alle nostre città di trasformarsi in un enorme dispositivo di esclusione dove tutto è studiato per creare un ambiente ostile in cui chi non ha soldi o potere non ha diritto di esistere in pubblico.
Se vogliamo chiamarla civiltà, dobbiamo riconoscere che la vera resistenza oggi è quella di chi si rifiuta di sparire, che lotta per restare umano.
Fino a quando non lo capiremo, continueremo a celebrare monumenti e simboli mentre calpestiamo chi, proprio davanti a quei monumenti, lotta ogni giorno per non essere cancellato.
Lettera firmata