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Al Direttore | 16 giugno 2025, 08:25

"Chi si attacca a quella scatola non compie un atto di vandalismo, ma un atto di sopravvivenza"

La replica alla lettera pubblicata nei giorni scorsi, dove si evidenziava la presenza di immigrati al Parco della Resistenza di Cuneo

"Chi si attacca a quella scatola non compie un atto di vandalismo, ma un atto di sopravvivenza"

Gentile cittadino cuneese, 
 

rispondo alla sua lettera pubblicata su TargatoCn a questo link: 
 

https://www.targatocn.it/2025/06/11/mobile/leggi-notizia/argomenti/cronaca-1/articolo/cuneo-ha-bisogno-di-ricaricare-il-cellulare-e-si-attacca-alla-scatola-elettrica-del-monumento-alla.html

Normalmente la sua opinione sarebbe solo un punto di vista tra tanti, e non meriterebbe particolare attenzione. Ma questa volta sento la necessità di rispondere perché il suo giudizio – rapido, sprezzante e privo di empatia – è lo specchio inquietante della società in cui stiamo precipitando. Una società che criminalizza il disagio, che sceglie di punire e isolare invece di riflettere. 

La sua immediata condanna di un gesto di necessità è la manifestazione più brutale di questa cultura dell’esclusione. Non interessa più capire, non interessa più ascoltare. Conta solo stigmatizzare chi vive ai margini, chi non rientra nello stereotipo del cittadino consumatore e rispettoso delle regole.

Viviamo in città progettate per respingere, non per includere. Luoghi che ostentano modernità e “smartness” mentre si riempiono di panchine pensate per impedire a chi è senza casa di sdraiarsi, di braccioli, spuntoni metallici sulle superfici piane, che trasformano lo spazio pubblico in una prigione invisibile. Non sono servizi, ma vere e proprie barriere architettoniche e sociali, create per rendere invisibili e allontanare i più fragili.

Certo, si potrebbe discutere se ci fossero alternative migliori alla scelta di attaccarsi a quella scatola elettrica. Ma la verità è che, di fronte a un bisogno così elementare come quello di ricaricare un cellulare – oggi strumento indispensabile per comunicare, mantenere legami – chi non ha accesso ad alternative più dignitose è costretto a gesti non conformi. È questo il cuore della questione: non la scelta in sé, ma il contesto che la rende necessaria.

Chi si “attacca” a quella scatola non compie un atto di vandalismo, ma un atto di sopravvivenza. Eppure, riceve soltanto durezza, pregiudizio e condanna. Dov’è la vera inciviltà? Nel bisogno di chi non ha alternative o in una società che rigetta e punisce chi è più vulnerabile?

Ed ecco la vera assurdità: citare la Resistenza, proprio lei, il simbolo della lotta contro l’oppressione e l’ingiustizia, per giustificare un giudizio che è tutto fuorché solidale o inclusivo. La Resistenza è stata la lotta di chi ha rifiutato di accettare un mondo ingiusto, di chi ha combattuto per la dignità e la libertà di tutti, soprattutto dei più deboli. Non è un ornamento da sbandierare per condannare chi vive ai margini, né uno sfondo decorativo per passeggiate agiate.

La sua narrazione privilegiata e distaccata, fatta di passeggiate e fidi compagni a quattro zampe, è la stessa che permette alle nostre città di trasformarsi in un enorme dispositivo di esclusione dove tutto è studiato per creare un ambiente ostile in cui chi non ha soldi o potere non ha diritto di esistere in pubblico.

Se vogliamo chiamarla civiltà, dobbiamo riconoscere che la vera resistenza oggi è quella di chi si rifiuta di sparire, che lotta per restare umano.

Fino a quando non lo capiremo, continueremo a celebrare monumenti e simboli mentre calpestiamo chi, proprio davanti a quei monumenti, lotta ogni giorno per non essere cancellato.

Lettera firmata
 

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