Riproponiamo qui uno degli articoli più letti della settimana appena conclusa, pubblicato martedì 9 settembre.
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Domenico Taricco, 57 anni, racconigese, ma tesserato Fipsas con la società degli Albesi, è il nuovo campione italiano di Pesca a Mosca. Il titolo è arrivato a Trento, nella finale disputata sulle acque del torrente Noce, dopo due intense giornate di gara che hanno visto sfidarsi 24 finalisti provenienti da tutta Italia.
Taricco si era guadagnato l’accesso all’ultimo atto grazie alle selezioni di luglio in Valle d’Aosta, dove una trentina di concorrenti si erano contesi i posti disponibili per l’area Nord-Ovest.
“La Pesca a Mosca non è il classico pescatore seduto con la canna in mano che aspetta – spiega subito, divertito, il signor Taricco –, ma uno sport dinamico. Si fanno chilometri lungo i torrenti, si consumano energie e spesso a fine gara ci si accorge di aver perso persino un chilo”.

Le competizioni hanno regole precise: ogni concorrente ha tre ore di tempo e viene seguito da un giudice che misura il pesce e certifica il rilascio immediato in acqua. È infatti obbligatoria la tecnica del catch and release (catturare e rilasciare la preda, in sostanza), con misura minima, che nel gaso della gara di Trento era fissata a 18 centimetri. “Non si vince con decine di catture come uno potrebbe essere portato a pensare – precisa Taricco –. Oggi nei fiumi i pesci sono meno, a volte bastano due o tre prede, persino una sola come mi è capitato in un mondiale in Spagna”.
La Pesca a Mosca, oltre ad essere sport regolarmente affiliato al Coni, è anche una filosofia, come tiene a precisare il signor Taricco. Gli artificiali – mosche, ninfe e streamer – vengono costruiti a mano dai pescatori stessi, che si basano sulla conoscenza degli insetti acquatici per riprodurne fedelmente i diversi stadi di vita.
Ci sono diverse tecniche: la mosca secca lavora in superficie, la ninfa appena sotto, lo streamer imita piccoli pesciolini attirando le prede più aggressive: “Noi costruiamo da soli i nostri artificiali – racconta Taricco – e dietro c’è anche tanta entomologia, perché bisogna conoscere i cicli di vita degli insetti per riprodurli fedelmente”.

Il campione racconigese non vive di pesca, di mestiere fa l'odontotecnico, ma la considera parte essenziale della sua esistenza. “Quando cammino lungo un torrente, anche solo in silenzio, l’adrenalina scatta subito. Per me è come una malattia, se non vado a pescare per due settimane mi manca”.
E anche fuori dalle competizioni Taricco non rinuncia alla sua passione: “Con gli amici andiamo spesso in Svezia o in Norvegia per pescare per conto nostro. Io dico sempre: guarda quanto siamo fortunati, in mezzo al nulla, ma per noi è tutto. È proprio questo che rende la pesca una malattia meravigliosa”.
Dopo il titolo tricolore, Taricco guarda già avanti. Membro del Club Azzurro, che riunisce i 20 migliori pescatori italiani, punta a rientrare in nazionale per l’edizione 2026 dei mondiali che si svolgerà in Norvegia: “Bisogna qualificarsi ogni anno, non ci sono diritti acquisiti – chiude Taricco -. Questo ti spinge sempre a migliorarti”.
















