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In Breve

| 03 settembre 2016, 15:50

Homo homini hummus

Fuggire a quel punto bersagliati dai, e non in ginocchio sui, ceci, correggendo la massima di Hobbes in “Homo homini hummus”.

Homo homini hummus

La teoria del Big Bang applicata al Comunismo prevede che l’universo da un iniziale nucleo rovente e densamente marxista abbia iniziato ad espandersi ma questa espansione ha provocato un deciso raffreddamento (buonismo) dell’iniziale ideologia. Le galassie (centri sociali o sedi di partito) hanno iniziato a distanziarsi e,come per la caduta dell’Impero Romano, l’eccessiva espansione ha provocato il crollo.

Presentarsi con un vino importante alla cena d’un amico, ex militante di sinistra, appena ritornato da un viaggio intorno al mondo e neo-allocato in un attico della periferia romana ad alta rivalutazione immobiliare. Su gentile concessione di papà. Mecenauta e anch’esso dirigente rosso.

Vederlo aprirci in kimono e sandali, ricci da santone e bronzea lordura da nipote dei fiori, roba da raschiar via col coltello in un vasetto d’autore, e abbracciarlo nel microclima già  pesto d’incenso fra coppie che (pat)choulano sotto stampe di Kandisky e Guttuso. Grattarsi il mento calcando la terrazza panoramica dove una tavola imbandita con cento tipi di pani rivela un benettoniano affresco di succhi di frutta a zero gradazione alcolica.

Salutare critici con le toppe ai gomiti e il pelo sullo stomaco, attrici anoressiche che hanno confuso il Living Theatre con l’attacco di panico e una serie di musicisti finto-pezzenti che si vergognano d’avere un padre che paga per la loro assenza di vergogna. Incunearsi pasteggiando a olive e succo di melograno, che con la sua antiossidante inutilità ci fa venir voglia di tuffarci di schiena nel traffico capitolino, e lì ritrovare quel nostro conoscente, talmente filo-semita da meditare la circoncisione, la cui più alta ambizione era comporre un’opera rock dodecafonica.

Scoprire che è diventato celebre(leso) per un jingle di secondi numero otto su una pubblicità di quella casa automobilistica tedesca il cui logo ricorda le Olimpiadi e baloccarsi con l’idea di realizzare il suo sogno incidendogli il prepuzio con un coltello da dolce sentendolo vantarsi di tale teutonico trionfo.

A quel punto rientrare in cucina e bere, autoreferenziali, il proprio vino guardando il proprietario di casa preparare la “tahina” (o burro di sesamo) dopo aver tritato finemente aglio e prezzemolo e udirlo raccontare del suo viaggio a costo zero fra autostop e vagoni-merci mentre trasferisce i semi di sesamo tostati nel suribachi (ciotola giapponese) pestandoli col surikogi insieme ad olio di sesamo, sale ed acqua calda. Mentre tre ragazze-spaventapasseri, ormai anosmiche a furia di tirare, annuiscono al novello Kerouac che unisce ai semi ceci precotti, olio, limone, prezzemolo e pepe, chiedergli di cosa si tratti e sentirsi rispondere con sufficienza:”ma di hummus ovviamente”.

Gelato dalle tre parche domandare, ingenuo:” quello delle piante?”

Pochi minuti dopo mangiare pane arabo e hummus sul terrazzo fiorito d’odori e piante mediterranee fra candele tremolanti sotto una mezzaluna che trasforma la cena pensile in una sorta di Getsemani catto-comunista mentre l’anfitrione parla di uguaglianza e bellezza come un Buddha laccato d’oro.

Orfano d’acquavite e solo come un sordomuto a una convention di doppiatori alzarsi in piedi e dirlo quello che si pensa da vent’anni dopo aver toccato col cucchiaio il bicchiere colpevolmente pieno dello stronzissimo succo di melograno:” L’uguaglianza non esiste, la verità è una puttana e la libertà è l’asta su cui appendete la bandiera che vi fa più comodo, i vostri miti hanno imbracciato un fucile per lottare in attesa d’un cambiamento che non è mai avvenuto perché hanno sopravvalutato il popolo e il futuro pensando che il primo volesse una società d’eguali laddove voleva solo il posto dei padroni e che il secondo meritasse milioni di morti in nome d’un diritto al voto che nessuno più vuole e d’uno alla parola che è ingiustamente concesso a tutti.

Voi non viaggiate a costo zero ma con la carta-oro cucita nella giacca del nonno o nella camicia di flanella post-industriale che fa tanto Seattle anni Novanta, erano meglio i nazisti che combattevano con la Repubblica di Platone sotto l’elmetto e meglio di voi sono gli attuali fascisti perché pur cadendo nello stesso equivoco almeno vanno fino in fondo e se aiutano qualcuno non lo fanno imbottendosi di questa retorica populista e tronfia che non ha più neanche la dignità intellettuale della generazione precedente; voi citate senza conoscere e conoscete senza sentire, avete scambiato la pietà per carità e il relativismo per libertà d’espressione, siete collusi e corporativisti e le vostre simpatie quarto-mondiste sono solo lo scarico di coscienza d’una ricchezza di cui non vi vergognate affatto, la vostra finta umiltà affiora dalla beneficenza pubblica alle scuole private, dagli strappi ai pantaloni firmati a un disordine creativo che è solo sporcizia, da una tolleranza che è solo irresponsabilità a un senso critico che è sempre e solo attributo di partito e mai sensibilità personale.

Voi non condannate ma condonate, odiate ogni forma d’indipendenza che suggerisca un’idea di felicità diversa dalla vostra e nascondete questa paura dietro la stramaledetta uguaglianza così simile all’autocastrazione dei cattolici in funzione del Paradiso.

E non poteva che essere il cinema, che è gesto collettivo, a definirvi così bene in questa nuova era: un cinema di nevrosi sociali e tradimenti rivelati, isterie in coro d’archi e dolori annacquati che appiattiscono la dimensione tragica ad una democratica lucidità, l’incontrollabilità delle pulsioni sessuali ad un’intimità di maniera ed ogni atto criminale a fatto culturale risolvibile in una catarsi che esclude la possibilità che esista una sofferenza congenita e irrisolvibile che non potrà mai essere sociale.

Voi non siete buoni perché non sarete mai cattivi e non siete cattivi perché non siete mai stati buoni.

Voi pensate che se la maggioranza sbaglia allora ha solo ragione in anticipo, la vostra arroganza è tale da spingervi all’auto-martirio e siete disposti a morire di fame pur di dimostrare di non avere torto. E poi non morite. Minacciate il suicidio ma poi non vi suicidate.

Siete tutti partigiani dopo il 45 e sbirciate il mondo da un oblò a forma di mela morsicata perché “la bellezza è verità e la verità è bellezza”. Bè “mort à la beautè!” invece, fottetevi voi e il vostro progressismo, il politicamente corretto e le quote rosa, il feticismo per le minoranze che cade dall’alto e il sacro principio di rappresentanza ma soprattutto fottetevi voi e la vostra mania per i cibi esotici e vegetariani come quest’hummus di merda, vi preferivo quando sbraciavate salsicce e friggevate pizze sotto i gazebo bullonati delle “Feste de l’Unità”.

Fuggire a quel punto bersagliati dai, e non in ginocchio sui, ceci, correggendo la massima di Hobbes in “Homo homini hummus”.

 

De Mazan

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