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| 12 luglio 2017, 07:45

Caregiver: il difficile compito di chi aiuta

Caregiver significa letteralmente “colui/colei” che aiuta, che fornisce cure”. Si può distinguere tra ceregiver professionale, cioè chi presta cure per lavoro, ovvero tutto il personale specializzato ed abilitato alla professione di aiuto (oss, badanti) e il caregiver famigliare, colui che sta accanto, supporta, permette la quotidianità a un proprio caro ammalato, anziano o disabile

Foto generica

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“Aver cura” stanca... il caregivering è un' attività difficile e destabilizzante.

Il burden caregiver è “il peso dell'assistenza”, percepito dal soggetto che si presenta come un disagio psicologico caratterizzato da ansia, malessere generalizzato, in un carico soggettivo che investe su aspetti sociali ed economici dell'assistenza che si ripercuote in modo globale sulla vita delle persone. Il caregiver spesso presenta senso di rabbia, stanchezza, senso di colpa e “inutilità”, per timore di non essere adatto al compito. Questi sintomi di stress cronico si possono manifestare anche sul piano fisico, con problematiche psicosomatiche, disfunzioni immunitarie e problematiche di vario genere, tendenzialmente derivate dal non avere tempo per sè e per curarsi.

L'assenza di momenti dedicati al proprio benessere può portare a comportamenti alimentari e abitudini che diventano uno sfogo per le condizioni proibitive e si traducono in conseguenze personali negative. Il caregiver resiliente è invece colui che con l'esperienza diventa “flessibile” e presenta modalità adattabili per “andare avanti” e reggere la situazione famigliare, chiede aiuto e si fa aiutare.

Cosa deve fare il caregiver per stare bene? Autotutelarsi: non deve annullarsi per l'altra persona, ma deve concedersi momenti di svago per se e per la propria personale, vivere altri ruoli relazionali e coltivare i propri interessi. Per il caregiver è importante informarsi, considerare i propri limiti e soddisfare i propri bisogni. È essenziale riuscire a chiedere aiuto e non avere paura ne vergognarsi di ammettere di essere in difficoltà.

È indispensabile prendersi momenti di riposo e cercare di parlare con qualcuno che sappia ascoltare e possa condivide il peso della difficoltà. Appoggiarsi alla rete sociale: è importante che la rete dei servizi sociali supporti chi si occupa dei propri cari a casa. È utile richiedere una buona integrazione per ottimizzare le comunicazioni tra casa e le istituzioni.

Chiedere aiuto: è importante chiedere aiuto psicologico per essere supportati nella gestione del quotidiano ed affrontare tutte le difficoltà emotive che si incontrano. Molte ripercussioni emotive sono date dalla non accettazione della situazione del parente cosa non semplice da raggiungere dato il coinvolgimento emotivo. È utile confrontarsi per ammettere ed elaborare i propri vissuti, legati sia al malato che al proprio ruolo di portatore di cure.Imparare a delegare una parte del compito di cura. Individuare un' altra persona (un familiare, un operatore, un amico di famiglia) che possa diventare punto di riferimento per il malato quando non c'è il caregiver primario. Questo è importante perchè permette di creare uno spazio fisico e mentale per rigenerarsi dal carico della cura.

Il caregiver è in seconda fila, nascosto, dedito all'altro che ha più bisogno di lui.

Ma anche il caregiver è Bisognoso. Anche se probabilmente è sfiduciato nella possibilità che qualcosa possa modificare la sorte, rassegnato alle cose, non è solo, se chiede aiuto. Se vi siete riconosciuti in quanto scritto nell'articolo o pensate che qualcuno che vi sta a cuore possa trovarsi in una situazione di stress come quella descritta, non esitate a richiedere aiuto per alleviare le fatiche del caregivering. 

Per ulteriori informazioni, approfondimenti e curiosità, potete seguire la mia pagina Facebook mettendo "mi piace" alla pagina D.ssa Ernestina Fiore Psicologa o visitando il sito www.ernestinafiorepsicologocuneo.it, dove potete trovare anche tutti i precedenti articoli della rubrica.

ernestina fiore

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