In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui». (Mt 11,2-11).
Oggi, 11 dicembre la Chiesa giunge alla III Domenica di Avvento, chiamata “Gaudete” e caratterizzata dal segno della gioia: «Rallegratevi nel Signore, sempre» (anno A, colore liturgico viola o rosaceo).
A commentare il Vangelo della Santa Messa è Claudio Bo, diacono della chiesa Battista di Mondovì. Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di Luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole che, unite all’espressivo disegno dell’artista braidese Pinuccia Sardo, sono come scintille per accendere le ragioni della speranza. Eccolo, il commento.
Gesù e Giovanni erano cugini, ma non sappiamo se si frequentassero, abitando ai capi opposti della Palestina. Sicuramente si frequentavano le rispettive madri (con ogni probabilità di famiglie rabbiniche) che erano legate da qualcosa di più della parentela e dell'amicizia. Entrambe, infatti, sono protagoniste dell'Avvento del Messia: entrambe future madri per una gravidanza miracolosa, entrambe vivono un dialogo con l'Onnipotente fatto di annunci, sogni e consapevolezza.
La visita di Maria alla cugina rappresenta la prima rivelazione della missione del Cristo, espressa fra due persone. Maria è giovanissima ed ha affrontato un lungo viaggio per raggiungere Elisabetta. Le due si scambiano le parole che, in parte (insieme a quelle dell'Annunciazione), diventeranno il testo della preghiera cattolica «Ave Maria» e Maria reciterà l'inno profetico del Magnificat.
Quelle parole sono la piena consapevolezza della salvezza, una consapevolezza che coinvolge anche Giovanni che balza nel grembo della madre. Il bimbo, non ancora nato, ha riconosciuto il Dio che si è fatto uomo.
Da quel momento i destini di Gesù e del Battista sono legati, lo erano già per disegno divino.
In sostanza Giovanni interpreterà il ruolo dell'Elia, del "nuovo" Elia, del precursore, facendosi messaggero del Salvatore. Secondo Malachia, questo messaggero sarebbe stato "il profeta Elia", che Gesù identifica, appunto, con Giovanni Battista, il precursore.
Un ruolo che le Scritture chiariscono bene: Giovanni Battista viene chiamato «Elia», perché venne «nello spirito e nella potenza di Elia» (Luca 1:17), ovviamente non è l'Elia.
Il rapporto fra i due diventa sempre più stretto, i loro stessi discepoli finiscono per unirsi. La domanda che Giovanni fa recapitare dai discepoli a Gesù (Mt, 11), quindi, non è per ottenere una risposta, lui sa già, da prima di nascere, che Gesù è il Messia, ma per farla dare ai discepoli stessi, perché credano nel compimento delle profezie.
Insomma, doveva essere il Cristo stesso a proclamarlo. Giovanni lo aveva fatto già nel battesimo, come lo raccontano i sinottici, quando aveva esclamato: «Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo!».
Per questo il Battista, che è l'ultimo profeta e il primo apostolo, rivela come il «più grande fra gli uomini» debba rientrare nel popolo dei fedeli che sono tutti uguali davanti a Dio: «Ora la mia gioia è completa. Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3, 30).
E Gesù, quando in Mt, 11, si rivolge alle folle rivela la verità: «Giovanni è un profeta, anzi, il più grande fra gli uomini, anche se minimo nel Regno dei Cieli». La sua voce tuona verso la gente attonita che, forse, si era attesa di vedere prodigi fra le dune, magari era anche una folla delusa: Giovanni vestito di pelli, non assomigliava all'idea che si era fatta di Elia, non aveva spade fiammeggianti e neppure vestiva abiti preziosi, nessun «effetto speciale», nessun miracolo.
Insomma nel deserto non avevano visto un re nel suo splendore, avevano ascoltato parole crude verso i potenti, gli avidi, gli sfruttatori, avevano ascoltato l'invito a spogliarsi del superfluo e a prepararsi al compimento dei tempi: l'avvento del Cristo. Avevano così scoperto che Giovanni non era il Salvatore, non guidava la rivolta contro gli invasori e non brandiva la spada della potenza. E adesso il loro profeta era in carcere.
Assomigliavano un po' a noi, quando cerchiamo di «riempire» la nostra Fede con artifici e luminarie, ingordi nel vedere la magnificenza di Dio, magari ignorandone la Grazia, quella che aveva ricolmato Maria e che solo da Dio procede. Quella che nessun fedele può costruirsi da solo.
Gesù quasi li deride, perché non avevano capito che il vero prodigio si stava compiendo: quanto profetizzava il Battista, il messaggero, è ora lì, davanti a loro: è il Messia.
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