In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà» (Gv 16,12-15).
Oggi, 15 giugno 2025, la Chiesa celebra la solennità della Santissima Trinità (Anno C, colore liturgico bianco).
A commentare il Vangelo della Santa Messa è don Riccardo Frigerio, direttore dei Salesiani di Bra.
Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole per accendere le ragioni della speranza che è in noi.
Eccolo, il commento.
L’omelia nella solennità della SS. Trinità comincia normalmente con scuse preventive per il fatto che “non si riuscirà a spiegare questo Mistero, si potrà solo farlo intuire attraverso immagini parziali, rimarrà comunque più il non detto che il detto…” ed in effetti avremo l’eternità per approfondire la questione. Però qualcosa bisogna dire.
Il brano di Vangelo sottolinea la comunione all’interno della Trinità, per cui il “mio” diventa “nostro” e, se non ci dimentichiamo di essere fatti a immagine e somiglianza di Dio, qui possiamo già trovare un insegnamento di capitale importanza nelle relazioni umane. Per secoli i cristiani hanno indagato questo Mistero, sempre più grande della nostra capacità di intelletto. Se anche non riusciamo a dare una definizione teologica onnicomprensiva, ecco che gli effetti di una appartenenza trinitaria debole sono molto evidenti. Anzi, pare che il teologo Karl Rahner abbia affermato dei cristiani che «nonostante la loro esatta professione della Trinità siano quasi solo dei “monoteisti” nella pratica della loro vita religiosa».
Unione, comunione, condivisione, collaborazione… parole che indicano l’unica direzione possibile per una santità del singolo, della comunità, della Chiesa, dell’umanità, proprio in un periodo storico in cui sembra esserci solo divisione ed egoismo. Contemplare la Trinità ci consente di notare quanto ne siamo ancora distanti personalmente (chi può dire di avere una vita unificata, serena, aperta alle richieste del prossimo, senza barriere?) e comunitariamente (perché si alzano muri, perché si punta il dito sulla diversità vissuta come minaccia, le dispute personali diventano conflitti tra nazioni).
Le tre Persone divine, in una sorta di “abbraccio” circolare, che avvolge l’essere umano, senza fusione né confusione, agiscono all’unisono nella Storia del mondo e del singolo uomo, con l’unico obiettivo di farlo erede del Regno dei Cieli. Nominiamo fin da bambini (ogni volta che facciamo il segno della croce) il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ma è necessario che la sete di sapienza non si spenga con l’età, altrimenti resteremo “infanti spirituali” con una vita cristiana poco testimoniante.
In tante chiese l’iconografia relativa alla Trinità rappresenta il Figlio incarnato sovrastato dal Padre (in barba bianca oppure un occhio divino nel triangolo) e accompagnato dallo Spirito in forma di colomba: con tutti i limiti dei vari autori, il senso è comunque di aver una visione di insieme dell’azione salvifica divina, in cui chi dona, colui che riceve e il dono stesso non possono essere colti separatamente.
Se all’origine di tutto è la relazione, la solennità odierna ci invita a godere della presenza degli altri (seppur non perfetti, del resto non lo siamo neanche noi!), perché sono anche loro figli di Dio Padre, fratelli in Cristo, animati dallo Spirito Santo.