In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo (Lc 2,16-21).
Oggi, 1° gennaio 2025, la Chiesa celebra la solennità di Maria Santissima Madre di Dio (colore liturgico bianco). In questa data ricorre anche la 58° Giornata mondiale della pace e il messaggio di papa Francesco è collegato all’Anno Santo della speranza: «Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace». La Giornata è stata istituita da papa Paolo VI ed è stata celebrata per la prima volta il 1º gennaio 1968.
A commentare il Vangelo della Santa Messa è don Maurizio Chiodi, docente di Teologia morale presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale.
Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole per accendere le ragioni della speranza che non delude.
Eccolo, il commento.
Con la solennità di Maria Santissima Madre di Dio, cominciamo il nuovo anno civile. Lo poniamo sotto la protezione e lo sguardo materno di Maria, perché sia un anno buono, soprattutto un anno di pace.
La pace è un dono che non si realizza se non ci sono uomini “costruttori di pace”. La pace è un desiderio, un’aspirazione profonda di ciascuno di noi. Ma è difficile, non dobbiamo nascondercelo, specialmente in un mondo così complesso come l’attuale.
Noi cristiani crediamo che la pace sia Gesù stesso. Durante la Messa, dal Padre nostro alla comunione, la liturgia ci fa ripetere una decina di volte la parola “pace”. È un dono, che noi invochiamo da Gesù, che è pace, e che ci impegniamo a scambiarci l’un l’altro, con quel gesto che nella liturgia facciamo spesso come un automatismo e che invece è profondamente simbolico.
Gesù stesso è pace. Guardiamo con questi occhi alla scena del Vangelo. Gesù è «Adagiato nella mangiatoia» e insieme con lui ci sono Maria e Giuseppe, che si prendono cura con tenerezza e amore della sua fragilità, che è la fragilità di un Dio che si mette nelle nostre mani.
Attorno a questo piccolo ci sono anche i pastori, uomini rudi, essenziali, avvezzi a ogni difficoltà e fatica; sono proprio loro i primi a mettersi in cammino e quando se ne vanno, dice il Vangelo, glorificano e lodano Dio «Per tutto quello che avevano udito e visto».
Questa piccola porzione di umanità ha davanti a sé un segno apparentemente insignificante: che cos’è un bambino appena nato? Tanto più che quel bambino lì non aveva, all’apparenza, nulla che lo distinguesse da qualsiasi altro bambino. Ma anche questo è vero: ogni bambino che nasce è come un dono di pace, di speranza, è come la promessa che Dio continua a volere bene a questo nostro mondo e alla nostra umanità!
Tutto questo vale in un modo assolutamente singolare per Gesù. Il Vangelo di Luca sottolinea una cosa bellissima, quando dice che la gente si stupiva delle cose dette dai pastori, e soprattutto quando dice che «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore».
È un’immagine potente quella di Maria, al punto che, molto spesso, lei viene raffigurata, scolpita o dipinta come una che “custodisce” tutto quello che vede e lo medita nel suo cuore, e cioè non solo nei suoi affetti, ma in tutta se stessa, nella memoria, nell’intelligenza. Maria è colpita da tutto ciò che le accade, da tutto ciò che accade intorno a questo fragilissimo bambino e custodisce e medita.
Solo così si è davvero uomini e donne di pace, quando si ha questa capacità di “meditare” su ciò che ci accade, cercando di comprendere sempre più profondamente il senso delle cose.
Spesso, quando riflettiamo e meditiamo sulla nostra vita, facciamo fatica a “mettere insieme” gli eventi, le relazioni, le persone. La “meditazione” è proprio questo lento ascolto delle cose, per cercarne il significato, per comprendere come in esse Dio ci parli e ci chiami, che cosa attraverso gli eventi egli ci dice e a che cosa ci vuole spingere.
“Custodire” e “meditare” significa mettere insieme i piccoli pezzettini della nostra vita, nel passato, nel presente e anche nel futuro, come si mettono insieme le piccole tessere di un mosaico: sono piccole e tutte diversamente colorate e proprio grazie alla loro diversità alla fine possono comporre un grande disegno.
Così, nella trama quotidiana dei nostri giorni, anche a noi viene mostrato un disegno. È in questo modo che ci è data la pace. È in questo modo che ci è chiesto di essere “operatori di pace”.
Il libro dei Numeri riporta la famosa benedizione di Aronne. C’è una specie di catena di benedizioni: parte dal Signore, passa attraverso Mosè, poi Aronne e i suoi figli e infine arriva a tutti gli israeliti. È come una cascata di bene, una promessa di bene e di speranza; l’origine è il Signore.
La pace è dono di Dio. Ma questa benedizione di pace non si può realizzare se non viene accolta e trasmessa attraverso le parole e attraverso le opere della vita: «Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace». È un uomo che parla, Aronne, e prima Mosè, ma quest’uomo si fa testimone di Dio e della sua pace.
È molto bella questa “benedizione”, cioè questa parola che “dice bene” e dice il bene: solo se sappiamo avere davanti agli occhi il volto di Dio, e vedere nel volto dell’altro l’immagine del volto di Dio ed essere per l’altro questa immagine, solo allora avremo da gustare il dono della pace, qualunque cosa ci accada!