Funzionava così. Si prendeva qualcuno per le gambe (meglio se un po' più “robusto” così la pista rimaneva più larga) e con il suo sedere appoggiato sulla sabbia si iniziava a trascinarlo cercando di mantenere un tracciato dritto per il rettilineo, poi alcune curve da modificare in seguito con la parabolica, quindi la mitica variante ad esse ed infine bisognava cercare di riagganciarsi al punto di partenza.
La fase successiva era di manualità pura associata a guizzi di genialità ed inventiva: bisognava costruire tutti assieme la pista! Ognuno aveva il suo compito, ed ogni volta era un cercare di superarsi con sabbia levigata a pennello, ostacoli rompi fuga e montagnole intervallate da buche. Le varianti prevedevano una serie di sassolini inseriti in alcuni tratti per riprodurre il pavè, il tunnel con strettoia in ingresso, la buca costituita da un secchiello pieno d'acqua, la curva parabolica con doppia sponda, il ponte di larghezza ridotta in corrispondenza dell'incrocio ad esse e la montagnola più alta del solito con il “G.P.M. Gran Premio della Montagna” sul cucuzzolo. La linea di partenza era tracciata con il bastoncino di un ghiacciolo che veniva poi piantato nella sabbia, per definire in modo univoco il punto esatto del traguardo anche in caso di cancellazione involontaria della stessa. E qui apro una parentesi. Se per caso eri tu quel bambino che aveva mangiato quel ghiacciolo, potevi piangere anche in cinese, ma nessuna mamma ti avrebbe mai lasciato fare il bagno per almeno tre ore! Chiusa parentesi.
Terminata la fase di costruzione della pista si andava a recuperare la retina delle biglie con dentro i tuoi campioni di ciclismo: Gimondi, Merckx, Saronni, Coppi, Moser, Hinault, Bartali, Anquetil... io mi ero affezionato a quella di Baronchelli, che non sapevo chi fosse, che non avevo mai visto nemmeno in TV, ma che mi piaceva per il suo nome e soprattutto perchè tra le mie era l'unica biglia di colore rosso, il mio preferito. Con Baronchelli ho disputato le mie gare migliori e mi sono tolto delle gran belle soddisfazioni. Ultimate le operazioni dell'ordine di partenza, definito il numero dei giri da disputarsi, era un'eccitazione continua in attesa del tuo turno per dare il colpo di stecca con le dita. Bisognava fare attenzione a non uscire dalla pista (pena il ritorno dal punto di tiro), evitare di cadere in una buca per non stare fermo un turno, ma soprattutto il terrore più grande era quello di finire con l'essere doppiato e quindi immediatamente eliminato, una vergogna troppo forte da sopportare per un bambino sulla spiaggia.
Una volta terminate le vacanze al mare e ritornati in città, il gioco delle biglie si spostava sul tappeto dell'atrio delle scale. Non si usavano più quelle in plastica dei campioni di ciclismo, ma le loro sorelle più piccole, quelle in vetro con una lingua di colori all'interno. La retina per portarle era sempre la stessa. Cambiava ovviamente il tipo di gioco, non più basato su un percorso da ultimare ma con regole simili a quelle del bigliardino, sempre comunque con il colpo di stecca delle dita. Ricordo che passavamo ore e ore inginocchiati, seduti e sdraiati su quel tappeto delle portine, spostandoci ogni volta che qualcuno doveva passare per entrare in casa... ore e ore coricati, genuflessi e svaccati sul tappeto condominiale e sul pavimento... sto sorridendo: mi è venuta in mente la pubblicità che ho visto nei giorni scorsi delle “salviettine germicide impregnate di disinfettante ad azione rapida, ideali per garantire la completa igiene della cute, raccomandate per i bambini e indispensabili fuori casa” ...