Il 27 gennaio 1945 i soldati russi liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. Dal 2000 il Parlamento italiano ha istituito, nella stessa data, “Il Giorno della Memoria”, per non dimenticare l’orrendo sterminio di ebrei, e non solo, commesso dalla ferocia nazista e i crimini compiuti dalla dittatura fascista. E perché, mantenendo viva la fiammella del ricordo, quei terribili massacri non possano più accadere.
Nel 2005, poi, anche l’Onu, attraverso una risoluzione, approvata in seduta plenaria, ha proclamato lo stesso giorno come il momento per commemorare, a livello internazionale, le vittime dell’Olocausto. A 71 anni di distanza, qual è il significato della ricorrenza e cosa ci può insegnare? Lo abbiamo chiesto al viceministro Andrea Olivero che è cuneese: terra dove nacque la Lotta di Liberazione, grazie all’Eroe Nazionale della Resistenza, Duccio Galimberti. “Non possiamo permetterci di ridurre il 27 gennaio - sottolinea Olivero - ad un’ennesima ricorrenza formale. Non solo per il numero impressionante delle vittime della Shoah, ma perché quell’orrore non è stato il frutto della follia di pochi, ma della malvagità, dell’ignavia, dell’indifferenza di molti nostri concittadini: figli della nostra Europa. Quel mostro disumano che ha assassinato scientificamente milioni di uomini, donne e bambini è nato nella nostra cultura occidentale: in terre che, nei secoli, avevano prodotto arte, civiltà giuridica, culto della libertà e dei diritti”.
Cosa significa oggi ricordare cosa successe allora? “Vuol dire ammettere di non essere esenti dal rischio che simili eventi si possano ancora riprodurre e, insieme, tornare ad assumerci l’impegno di combattere ogni focolaio di razzismo, antisemitismo, xenofobia che si annida nella nostra società: ora in modo più sfacciato e disgustoso rispetto agli anni passati. I morti, i deportati, i perseguitati di settant'anni fa devono rimanere un peso intollerabile sulla nostra società, capace di provocare orrore ed insieme di darci coraggio per combattere. “Mai più” era il pensiero della generazione dei sopravvissuti e dei testimoni. “Mai più” deve essere anche oggi il nostro impegno, davanti al terrorismo, alle guerre di sterminio, ai muri disumani che vengono eretti lungo le frontiere europee”.













