GENESI D’UN CAPOLAVORO
Tobe Hooper ha 28 anni quando nel 1973 decide di girare “The Texas Chainsaw massacre” (in italiano “Non aprite quella porta”) sfruttando come tecnica registica lo stile documentaristico tanto in voga negli anni Sessanta; il film doveva chiamarsi inizialmente “Leatherface stalking”, poi semplicemente “Leatherface” e infine bizzarramente “Headcheese” ma si decise per un titolo di maggiore impatto.
La sceneggiatura e il soggetto furono affidati al giovane Tobe, a quattro mani con Henkel, e lo stesso Hooper si occupò (insieme a Bell) anche della colonna sonora costituita da una cacofonia di suoni che andavano dal verso d’un animale condotto al macello al pianto ossessivo d’una donna, grugniti ed alcune corde fatte vibrare insieme a un tamburello tribale africano di proprietà del regista.
Ricorda Bell che egli ripeteva continuamente:” insomma, non stai componendo una fuga ma ricreando il suono delle ossa”. Questo psicotico tappeto musicale, unito al rumore della motosega, alle urla della protagonista e al ronzio del generatore contribuirono non poco ad amplificare il clima di “incubo senza fine” (come lo definì uno degli attori) della pellicola.
L’opera affidata alle mani d’un regista che per quanto promettente aveva al suo attivo solo un lungometraggio ed un’esperienza televisiva era ovviamente “low-budget” ed anche se gli iniziali 60000 dollari previsti per le riprese quasi raddoppiarono nel periodo dal 15 luglio al 14 agosto del 1973 un pauperismo esasperato pesò su tutto il mese di lavoro condizionando sia le scelte artistiche che le prestazioni attoriali.
Edwin Neal (l’autostoppista) dichiarò:” è stato il periodo peggiore della mia vita…ed ero stato in Vietnam”.
Non appena uscì nelle sale, nell’Ottobre del 1974, “Non aprite quella porta” ottenne un immediato successo sia di critica che di pubblico anche se questo coincise con una prevedibile censura in molti paesi, soprattutto in Inghilterra.
Per diatribe relative alla produzione, cast e troupe (regista incluso) furono letteralmente truffati e non videro il becco d’un quattrino nonostante il film continuasse (e continua tuttora) a sedurre generazioni di horrorofili di tutto il mondo.
TRAMA
Un gruppo di ragazzi si reca in Texas su un furgoncino per raggiungere la casa appartenuta ai nonni di due di loro, allarmati da notizie che parlano di profanazione del locale cimitero. Una volta appurato che nessuno ha violato la sacra sepoltura dei nonni questi decidono di mostrare ai propri amici l’abitazione ma solo dopo aver dato un passaggio ad uno strambo autostoppista, rivelatosi poi pericoloso ed autolesionista.
Raggiunta la casa isolata nella calura crescente d’Agosto un paio di loro vanno alla ricerca di benzina presso i vicini ma faranno la conoscenza di Leatherface, un gigante demente che darà loro la caccia con una motosega iniziando una spirale di terrore sullo sfondo del vecchio mattatoio comunale (ormai chiuso) dove lui, ed altri membri della famiglia, lavoravano.
TOBE HOOPER:”QUESTA E’ L’AMERICA”
L’America in cui il ventottenne nato a San Antonio ambienta il suo “Texas chainsaw massacre” sta vivendo il triste epilogo nixoniano del Vietnam che di fatto coincise con la crisi energetica globale (e nel film ci sono chiari accenni ad essa anche se in pochi l’hanno notato) e col naufragio del movimento hippy che visse il suo tragico canto del cigno proprio con le stragi di Manson e de “La Famiglia”.
Il fallimento della “peace and love generation” sostituiva a un ideale di famiglia stereotipata il realistico ritratto della famiglia disfunzionale americana con tutte le sue nevrosi e conflitti irrisolti ed è questa la denuncia sociale nascosta dietro la maschera di mostruosità che permise a Leatherface and co di penetrare nell’inconscio collettivo creando una sorta di malato ed efficace transfert.
Il monologo “dell’onda” in “Paura e delirio a Las Vegas” e più in generale tutta la poetica di Hunter Thompson cristallizzarono in un’iperbolica catabasi lisergica l’infrangersi dei sogni degli anni Sessanta, scenario in cui apparvero film come “Easy Rider”, “La Notte dei morti viventi” o “L’ultima casa a sinistra”.
In particolare la pellicola di Romero portava l’orrore in uno spazio vicino e in un tempo presente, non c’erano più gotici vampiri ottocenteschi né alieni che metaforicamente incarnassero la paura del pericolo russo ma zombi antropofagi che fino a pochi giorni prima potevano essere vicini di casa o i nostri figli, mogli, mariti, il tutto senza offrire comodi happy ending e con un macabro realismo mai visto sino ad allora. “La Notte dei morti viventi” aprì il vaso di Pandora dei b-movie da drive-in ed anche se è questa la cornice in cui si inserisce “the Texas chainsaw massacre” né lui né “L’ultima casa a sinistra” di Craven ( in cui tralaltro nella scena del massacro finale si utilizzerà una motosega) hanno quell’alone di rassicurante finzione presente negli altri film.
E questo perché attraverso l’esasperazione grottesca e il delirio patologico essi rappresentavano ciò che la famiglia era realmente e cioè un nido di frustrazione e rabbia repressa che non aveva nulla a che vedere con le patinate illustrazioni di Norman Rockwell.
“Questa è(ra) l’America” secondo Tobe Hooper.
Anche se tale messaggio è oggi un po’ sbiadito perché digerito e metabolizzato da più d’una generazione resta la violenza eversiva delle scene e l’irrisolvibilità d’un epilogo al di fuori di qualsiasi strumentalizzazione politica che fa tornare in mente la critica marxista ai finali nichilisti di Kafka, soprattutto “Il Processo”.
LEATHERFACE
Gunnar Hansen venne scritturato per il ruolo di “Faccia di cuoio” dopo che l’attore inizialmente prescelto si era rinchiuso ubriaco in un motel e non ne voleva più uscire; egli venne descritto dagli altri attori come “un inoffensivo orsacchiotto” ma la sua mole e la relativa libertà espressiva che Tobe Hooper gli concesse per incarnare uno dei massimi simboli horror di sempre lo portò prima a frequentare una scuola per bambini affetti da ritardo mentale quindi ad impararne gesti e movenze al punto che “se passeggiavo fra loro non avreste saputo dire se fossi un visitatore o un paziente”.
Costretto in un vestito che per motivi di budget non cambiò mai per tutto il mese di riprese al punto che puzzava in modo nauseabondo, su dei tacchi che ne aumentavano la già considerevole altezza e celato da una maschera in lattice, isolante e fibra di vetro, con la bocca cucita grossolanamente per lasciar intravedere tic e spasmi, Leatherface squarciò letteralmente la scena con la sua motosega Poulan 245 A dal logo coperto col nastro isolante per evitare grane legali.
Quello che stupisce della sua performance è l’alone da bambinone ritardato, spaventato e violento perché la violenza era l’unica sintassi famigliare cui fosse stato educato: “in quanto fratello maggiore assume lui il ruolo femminile in casa” dice Hooper e a ben guardare la maschera vezzosamente truccata e le movenze scattose che precedono i raptus, “Faccia di Cuoio” è una supplente figura materna in una famiglia di soli uomini, ad eccezione del cadavere mummificato della nonna al piano di sopra.
Le sue imitazioni del grugnito del maiale o del verso del pollo, il glossolalico gesticolare verso un padre alla continua ricerca di pretesti per picchiarlo e l’assoluta purezza della sua demenza che lo porta a massacrare per difesa, ne hanno fatto un’icona amata in tutto il mondo.
La geniale scelta della motosega, simbolo della laboriosità proletaria americana, fino a quel momento pervasa da una luce di innocua innocenza, la trasforma in uno strumento di morte assoluto ed implacabile, peraltro imitatissimo in molti horror successivi (vedi “America Psycho”).
ED GEIN
Appurato che la veste documentaristica di “The Texas chainsaw massacre” fu solo una manovra di marketing è innegabile che Tobe Hooper si ispirò, per sua stessa ammissione, all’atroce vicenda del serial killer Ed Gein:” …vivevamo in un paese vicino a Ed Gein e mi avevano raccontato delle storie orribili. Si parlava di paralumi ed altri mobili rivestiti di pelle umana, e della profanazione di alcune tombe […] volevo creare una casa degli orrori, una casa spaventosa che odorasse di morte […] fui molto sorpreso quando scoprii che Ed Gein aveva realmente commesso i crimini che avevo sentito raccontare, che aveva usato ganci da macellaio per le sue vittime, che usava parti di esseri umani e che era un cannibale” (Hooper).
Ed Gein nacque nell’Agosto del 1906 e visse in una fattoria vicino a Plainfield (Texas) con un padre alcolista, un fratello, ed una madre religiosissima e iperprotettiva che inculcò nei figli un rigido concetto di peccato ed una visione estremamente degradante del mondo femminile. Alla morte del padre e del fratello fu lui a prendersi cura della madre fino alla sua morte instaurando con lei un rapporto simbiotico che si pose alla base del suo disturbo.
Leggermente ritardato, viveva di lavori saltuari e d’un sussidio, nel tempo libero leggeva libri sugli esperimenti dei nazisti e quelle raccapriccianti immagini lo eccitavano al punto che, grazie alla collaborazione dell’amico Gus, iniziò a profanare tombe e a portarsi a casa brani di cadaveri o corpi interi (fra cui quello di sua madre) con i quali poi si dava alla necrofilia e all’ antropofagia.
L’inevitabile passo successivo fu l’omicidio e quando la polizia fece irruzione in casa sua scoprì un vero e proprio museo degli orrori contando quindici corpi smembrati e trasformati in maschere, mobili e oggetti d’arredamento; Ed voleva diventare una donna e, cucendo la pelle delle sue vittime che poi indossava corredandola di seni o genitali asportati, voleva ricreare una sorta di legame con la madre morta. La sua macabra vicenda ispirò Hitchcock per Psycho ma la pulsione ad indossare la pelle dei cadaveri per assumerne l’identità ed una sessualità deviata con una forte connotazione femminile sembrano tracciare le fondamentali coordinate del personaggio Leatherface.
(continua…) (In memory of Tobe Hooper)