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Attualità | 08 ottobre 2013, 07:46

Accorpamento dei Tribunali: un’altra riforma è possibile

Ma, ci scrive Franco Totaro, del Coordinamento Spontaneo per la (giusta) controriforma, “nessuna vera riforma si può fare senza investimenti”

Accorpamento dei Tribunali: un’altra riforma è possibile

Gentile Direttore,

la recente discussione e le dichiarazioni di vari esponenti politici consiliari sull’individuazione dei locali e delle relative spese per l’attuazione  degli accorpamenti dei Tribunali di Saluzzo e Mondovì a quello di Cuneo, confermano le conseguenze di una riformicchia (ovvero tagli) pessima e gestita peggio ai vari livelli istituzionali e politici (nazionali e territoriali).

 La situazione esistente a Cuneo è assimilabile a quella di tante altre località del Paese coinvolte negli accorpamenti di tribunali e sezioni distaccate che, si rammenta, è la prima fase del percorso stabilito (anzi imposto) per lo smantellamento dei presidi di legalità. La seconda fase è quella dell’eliminazione di centinaia di uffici dei giudici di pace definita a torto la “giustizia spicciola” che tale non è.

Anche rispetto alla gestione organizzativa e gestionale degli uffici giudiziari le problematiche non mancano.

Come traspare dall’affermazione del Procuratore di Cuneo per  “l’assordante solitudine in cui sono stati lasciati gli uffici accorpati e accorpanti” a cui è stato lasciato il compito di trovare soluzioni per dare vita alla riforma. La situazione andrebbe (andava) rappresentata, però, con maggiore forza per essere ascoltati e ricevere la debita attenzione ai più alti livelli istituzionali anziché limitarsi, sommessamente, all’ambito locale.

Per il presidente del tribunale di Cuneo, invece, la riformicchia  è “Il nuovo modello organizzativo che favorisce la specializzazione dei giudici, consentendo di sfruttare al meglio le risorse”.

Per raggiungere tale obiettivo non era necessario ricorrere alla riformicchia-tagli e sconvolgere l’assetto degli uffici giudiziari. Era sufficiente la proposta del presidente della Corte d’Appello di Torino, dr. Mario Barbuto, (che ha sviluppato l’idea lanciata dall’avv. Piroddi di Acqui Terme) e cioè " ... la possibilità di ricorrere più prudentemente a strumenti già previsti dalla legge, quale la "coassegnazione" di un certo numero di magistrati di più tribunali, al fine di garantirne la funzionalità "in rete" raggruppandoli in c.d. "macroaree omogenee". " ... una proposta transitoria «a costo zero e a legislazione invariata», quella delle QUADRO MACRO-AREE, una sorta di quattro federazioni di Tribunali, Nord-Ovest, Nord-Est, Sud-ovest, Sud-est, intorno a Torino.

La proposta comportavaa) nessun sacrificio per il personale amministrativo, b) un

(lieve) sacrificio di una aliquota di giudici (la meper ciascun Tribunale) da coassegnare in una seconda sede, vicina alla propria, per poter svolgere un lavoro specializzato (lavoro, famiglia, fallimentare, penale collegiale, GUP)."

La proposta, apprezzata in diverse sedi (soprattutto dagli Avvocati ed anche dal Vice Presidente del CSM Michele VIETTI) fu superata otto mesi dopo dalla legge delega 14 settembre 2011 n. 148.” (Discorso inaugurale anno giudiziario 2013).

Un’organizzazione  a costo zero con una reale efficienza e produttività degli uffici e, quindi, senza lo stravolgimento dell’assetto dei tribunali e delle sezioni distaccate e, in prosieguo, dei giudici di pace.

A livello territoriale ora ci si rende conto delle difficoltà sia organizzative, sia gestionali e sia economiche di questa scellerata riformicchia- tagli.

Conseguenze che il Coordinamento Spontaneo,  gli avvocati, i cittadini hanno rappresentato in ogni occasione ed ora, purtroppo, sono realtà.

Queste problematiche rappresentano, però, solo alcune di quelle che erano (e sono) le motivazioni della nostra lotta contro la riformicchia-tagli.

Per meglio comprendere l’incoerenza nell’applicazione dei criteri per la soppressione, restando in ambito cuneese, si rappresenta un esempio: 

la soppressione nella provincia di Cuneo (che si estende per 6.903 chilometri quadrati) di tutti e tre i tribunali subprovinciali, non solo contrasta con i criteri fissati dalla delega che aveva fatto riferimento espressamente alla estensione del territorio e alla specificità del bacino di utenza anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, conformazione del territorio e zone di confine nonchè economica (nella provincia di Cuneo si articola un tessuto produttivo costituito da 80.000 piccole e medie imprese),  ma contraddice le scelte operate su altri distretti, ad esempio quello Ligure, che complessivamente misura 5.402 chilometri quadrati e nel quale pur sono stati mantenuti quattro tribunali.

Il Piemonte (Il distretto di Torino comprende due Regioni (Piemonte e Valle d'Aosta), è stato il più penalizzato: subisce la chiusura di 7 tribunali e 9 sezioni distaccate con un taglio  pari al 70% delle sedi contro il 16% della media nazionale. E nel 2014 saranno chiusi decine di giudici di pace. Una Regione con una conformazione orografica particolare (molte zone di confine e di montagna e collegamenti infrastrutturali difficili…).

Una riforma, magari, scopiazzata malamente (cioè da quella di Mussolini del 1923) da parte di chi si limita a lavorare a "tavolino" senza minimamente conoscere i territori. Oggi, come allora,  si dubita se il risparmio che dalla soppressione di tutti gli uffici , non sia di gran lunga superato dalle spese incomparabilmente maggiori richieste per l'accorpamento nonché dai danni morali, economici e sociali gravissimi che verranno a risentirne i territori, gli interessi pubblici e privati che alla amministrazione della "giustizia" si riconnettono sotto molteplici e svariatissime forme. Per accedere, quindi, al servizio giustizia ci saranno costi ed oneri che ricadranno pesantemente a livello locale derivante da un pendolarismo  forzato per tutti riferiti sia ai trasporti e relativi disagi, sia per le spese per le cause o certificati ecc...praticamente la giustizia "a debita distanza" che sostituisce quella “di prossimità”.

Per dare una parvenza di  riforma strutturale della giustizia ci si è limitati semplicemente all’equazione: riforma strutturale = chiusura strutture giudiziarie. In tal modo, vendendola come una riforma epocale, si zittiscono i cittadini (che, però,  non sono stupidi) e l’Europa , la quale, chiedeva (ovvero imponeva) in realtà, una vera e diversa riforma strutturale della giustizia.

Ecco allora la c.d. “revisione delle circoscrizioni giudiziarie”.l

La revisione si poneva come obiettivi: il risparmio ed il recupero dell’efficienze. Falso come dimostra l’attuale situazione sulla (dis) applicazione con tutte le complicazioni ed implicazioni a livelli gestionali, organizzativi e strutturali (in questo caso sì di strutture/edifici giudiziari).

L’aspetto prioritario, invece, è la durata dei processi civili e penali. Aspetto che noi, per primi, siamo consapevoli e dovremmo agire di conseguenza. E non sottostare ai diktat, i moniti e le richieste da parte dell’Europa la quale, più volte, ha imposto all’Italia le sue ricette per risolvere  il problema strutturale della giustizia a causa della lunghezza dei tempi dei processi, ad adottare un piano strategico articolato per medio e lungo termine ed a coalizzare attorno a tale obiettivo un forte impegno politico.

Infatti gli irragionevoli tempi lunghi  dei processi, come si sa, sono la causa delle sanzioni economiche comminate all’Italia con un grave danno economico.

Tempi inaccettabili anche per i privati cittadini, se è vero che la più banale lite impegna circa quattro anni di media per essere decisa in primo grado e altro cinque o sei se si ha la disgrazia di finire in appello (eventualità questa non certo remota ed anzi fisiologica per il sistema).

E ciò è la dimostrazione del fallimento delle politiche di questi anni  sulla giustizia.

Ma nel nostro Paese si insiste con riforme inadeguate e, spesso, controproducenti.

Questa non è una riforma ma sono dei tagli al servizio della giustizia.

Non combatte certamente  i tempi dei processi. La giustizia è lentissima anche a causa di un arretrato spaventoso; se non si interviene su quello qualsiasi tipo di “filtro” non funzionerà.

Si assumono 400 giudici ausiliari per "aggredire" l'arretrato del settore civile, per converso, si continua a bloccare (da decenni) le assunzioni di personale amministrativo che, oltre ad essere sottodimensionato anche per colleghi collocati in pensione e non sostituiti, si dovrebbe far carico del maggior lavoro derivante dall'attività dei giudici predetti.

Da una parte si chiede agli uffici più efficienza e produttività, per converso, si tagliano le spese d'ufficio, si riducono gli straordinari, si sospendono i buoni pasto e si bloccano i rinnovi contrattuali del personale amministrativo.

A far lievitare i tempi e, conseguentemente, i costi per i cittadini hanno contribuito anche le  cosiddette “liti temerarie” ed il c.d. “abuso del processo”. Inoltre, Un filtro, inaccettabile, è stato introdotto nell’ambito delle manovre finanziarie a partire dal 2011  ad oggi: l’aumento del contributo unificato, senza interventi di altra natura volti a migliorare la “macchina” della giustizia, è da ritenersi solo un ulteriore ostacolo frapposto ai cittadini per scoraggiare il  loro accesso  alla giustizia.

Questi “filtri” imposti sono lesivi del diritto dei cittadini di accedere ad un servizio che lo stato deve (dovrebbe) garantire. Come dire: caro cittadino ricorri al servizio della giustizia solo in casi di estrema necessità altrimenti è un abuso e, quindi, lo paghi a caro prezzo.

La riforma, inoltre, avrà un ulteriore costo per i territori in considerazione delle soppressioni di tratte ferroviarie, trasporti pubblici su gomma ridottissimi o inesistenti o sospesi per alcuni periodi dell’anno. (La Ministra Cancellieri ha affermato che “oggi non si viaggia più in carrozza (con i cavalli) …”.  In effetti ora, con i tagli, non ci sono neanche le “carrozze  ferroviarie”).

I cittadini  dovranno, quindi,  aggiungervi ai costi dei contributi unificati, dei diritti  forfettari,  diritti di copia e di notifica, parcella avvocato ecc…, le spese di logistica (auto, benzina, autostrada o tangenziale) e saranno, di fatto, impossibilitati ad accedervi.

Anche per i dipendenti ci sarà, a loro esclusivo carico, a causa della “deportazione” un consistente aumento di costi logistici (tempo di percorrenza, utilizzo del mezzo di trasporto proprio, parcheggi, benzina…) in media, si presume, 120-150 euro mensili (quindi senza indennità per la “deportazione” a differenza del personale di magistratura). Tutto ciò in presenza del blocco del rinnovo contrattuale dal 2010. Ma, anche, una pesante ricaduta sull’organizzazione personale e familiare.

Praticamente si scarica tutto sui cittadini, sui territori e sulle loro economie oltretutto in un periodo di grave crisi economica.

La giustizia come “bene di lusso”.

La riforma prevedeva, inoltre, lo sgravio dei Tribunali “metropolitani” e di capoluogo col decentramento agli uffici  del circondario. In realtà avviene il contrario: si riversa sui primi un ulteriore carico di lavoro nonchè  competenze di materie e di territorio, un notevole afflusso verso i centri urbani di utenti/professionisti ed operatori del settore, aumento dei costi per accedere alla giustizia. Congestionando, di fatto, gli uffici ed i centri urbani.

Con la riforma attuale ampi territori si troveranno privi di qualsiasi presidio di legalità.

Più che di risparmi è più corretto dire sprechi di denaro pubblico e mi limito ad alcuni esempi:

v    Pinerolo:        Vengono spesi ben €. 800.000= per l'adeguamento della struttura. Con la chiusura si sprecano  fondi pubblici.

v    Saluzzo:        E' stato prescelto (oltre a Biella per il Piemonte) quale ufficio per il progetto pilota per il PCT. La Casa Circondariale è stata ampliata in funzione di un'aumentata capacità di ospitare  dei  detenuti. Con la chiusura si sprecano ulteriori fondi pubblici.

v    Cuneo:          Il Palagiustizia della città dovrebbe accorpare gli uffici di Saluzzo e Mondovì. Per l'adeguamento della struttura si dovrebbero spendere altri consistenti somme di fondi pubblici circa €. 6 milioni e 400 mila euro.

v    Acqui Terme: fondi pubblici spesi circa €. 5 milioni per adeguare la struttura  giudiziaria.

Tra denaro pubblico speso per l’adeguamento (o costruzioni) delle strutture, formazione del personale ed investimenti informatici ecc… mi pare che ci siano sufficienti motivi per ritenere assurda la riforma. Se si aggiunge che molti uffici (oltre a quelli menzionati) sono efficienti ed economicamente attivi la soppressione diventa surreale. Inoltre, molti uffici rientrano tra i parametri e/o criteri per continuare la loro attività, ma spesso sono stati ignorati.

La riforma non tiene conto anche che nel processo di rottamazione in corso vengono soppressi tutti gli uffici considerati, dallo stesso ministero,  virtuosi, efficienti,  produttivi ed economicamente attivi !!!!

Nessuna vera riforma si può fare senza investimenti.

L'obiettivo ottimale sarebbe l'elaborazione di un progetto complessivo per l'effettiva digitalizzazione della giustizia capace di assicurare trasparenza e priorità d'interventi. Ogni misura attinente all'organizzazione del servizio, non può che partire dalla definizione di un piano di investimenti per la realizzazione di progetti nazionali anche relativi all'assunzione e alla riqualificazione del personale giudiziario nonché alla sua formazione ed aggiornamento professionale.

Nel settore civile, ad esempio, è urgente che ci sia il passaggio effettivo ed uniforme sull'intero territorio nazionale al processo telematico con l'applicazione dell'informatica a tutti gli atti del processo attraverso piattaforme omogenee che consentano il dialogo e il controllo gestionale.

E’ con la giustizia civile che la stragrande maggioranza dei cittadini di questo paese si confronta nel corso della propria vita.

Per rimediare al peggiore dei mali della giustizia italiana, cioè l’eccessiva durata dei processi (specialmente di quelli civili) che crea immensi danni ai privati (si pensi alle sentenze di divorzio o affidamento dei minori), ed al mondo economico servono innanzitutto più risorse: più giudici, più pm, più cancellieri, più aule etc. Occorre, quindi, adeguare l’offerta alla domanda di giustizia e quindi aumentarne le risorse.

La riforma, come dichiarano alcuni esponenti politici, ha tra le sue “ragioni” "..l’ineluttabilità di una riforma …che sconta un organico dei magistrati deficitario di ben mille e 200 giudici". Già mentre le 8000 (OTTOMILA !!!) carenze organiche del personale amministrativo (di cui nessuno ne parla) sono assolutamente irrilevanti.

La riforma, anche sotto questo aspetto, va in senso contrario e drasticamente peggiorativo: numericamente stessi giudici e personale, meno strutture e meno aule, meno giustizia di prossimità…

NON E’ ELIMINANDO, quindi,  LA “GIUSTIZIA DI PROSSIMITA’” E SOSTITUENDOLA CON QUELLA “A DEBITA DISTANZA” CHE SI RISOLVONO LE PROBLEMATICHE DEL SETTORE. MA , SEMMAI, DOTANDOLA ( LA “GIUSTIZIA DI PROSSIMITA”)  DI TUTTI GLI  STRUMENTI E LE RISORSE POC’ANZI INDICATE.

Con pochi e semplici interventi mirati si potevano rendere realmente efficienti  gli uffici preesistenti. Invece si è scelto un percorso che non coniuga la giustizia e le esigenze dei cittadini e dei territori (a chi giova e per quali interessi ?).

Le domande sono:

Questa c.d riforma (ovvero tagli) affronta alcune delle problematiche della giustizia innanzi indicate? No, anzi alimenta amplificandole le criticità ed il depotenziamento della giustizia .

La soppressione dei presidi di legalità fa risparmiare e recuperare efficienza ? No, anzi c ‘è (e ci saranno) enormi spechi di denaro pubblico e l’efficienza diventerà una chimera anche laddove,ora,  esistevano le buone pratiche. I risparmi tanto sventolati (centinaio di milioni ) non ci saranno ma, sicuramente, tante ed ulteriori spese per una riforma che di epocale ha solo ricadute negative sui cittadini, sui territori  e sull’economia.

Le strutture accorpanti sono adeguate al T.U. 81/08 e s.m.i. nonché rispettano i criteri previsti dal “Piano delle performance” predisposto dal ministero per il 2013-2015 anche in relazione al rapporto tra gli spazi e gli operatori? No, perché le strutture giudiziarie esistenti non sono adeguate a contenere le sopravvenienze attuali di persone, strumenti informatici, materiali, archivi ecc… Ciò comporterà, inevitabilmente, ulteriori spese per gli opportuni adeguamenti, affitti locali ed altro. Il ricorso massiccio (ben 50) all’autorizzazione per l’utilizzo dei locali degli uffici soppressi per un determinato periodo dimostra che si continueranno a  sostenere le spese per il mantenimento ed il funzionamento di quegli edifici.

Altro che risparmi o riformicchia a costo zero.

La speranza rimasta sul fondo del vaso di Pandora è che si trasformi concretamente in una giustizia per i cittadini e capace di attrarre, sotto l’aspetto economico e degli investimenti,  le imprese a ritrovare fiducia in questo settore.

QUINDI UN'ALTRA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA E’ POSSIBILE.

Per tali ragioni si è lavorato anche per  la deliberazione  dei Consigli regionali per il referendum abrogativo della  c.d. “riforma  circoscrizioni giudiziarie” (uffici giudiziari e giudici di pace): per continuare a difendere la “giustizia di prossimità” e garantirne  l’accesso a tutti i cittadini contro la miopia e l’egemonia della politica e dei vari organismi istituzionali e non, incapaci di proporre una vera riforma strutturale della giustizia.

La politica ha perso, inoltre, l’ennesima occasione di porre rimedio ad un errore epocale ma non ha avuto (ovvero voluto) la forza ed il coraggio di correggersi.

Franco Totaro - Coordinamento Spontaneo per la (giusta) controriforma

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