/ Cuneo e valli

Che tempo fa

Cuneo e valli | 18 marzo 2023, 13:17

Generazione WOW - Effetto Israele

Ma qual è stato il fattore scatenante dell’effetto Israele? La “fame” (un mix potente di necessità e volontà) di evolvere per non estinguere, che ha a sua volta alimentato una politica volta all’innovazione, di cui oggi Israele è uno dei leader mondiali

Generazione WOW - Effetto Israele

Nel 1827, Alessandro Manzoni si era recato a Firenze per risciacquare i panni in Arno, sottoponendo alla definitiva revisione linguistica quello che sarebbe diventata una delle opere cardine della letteratura italiana: “I promessi sposi”.

Se il mastodontico autore italiano fosse stato un manager del Terzo Millennio, probabilmente i panni li avrebbe risciacquati in Israele che, dal 2009, ha acquisito lo status di Startup Nation, con una densità d’innovazione paragonabile soltanto a quella della Silicon Valley.

Se lo si “pesa” in termini di estensione territoriale, Israele è un piccolo Paese, con una popolazione vicina ai dieci milioni di persone e poche risorse naturali. Infatti, il suo esodo dall’essere “piccolo” a “gigante”, si è innescato passando da un’economia prevalentemente agricola e manifatturiera ad un sistema basato sull’innovazione tecnologica in ogni ambito, capace di produrre ricchezza e valore, attraendo investitori e imprese straniere.

Da imprenditore, il nostro Manzoni sarebbe probabilmente stato parte della compagine del viaggio studio in Israele sul trasferimento tecnologico recentemente organizzato dalla SEAC di Trento, azienda italiana leader nei servizi partecipata da Confcommercio, con il coinvolgimento di Ascom Bra nella persona del direttore Luigi Barbero.

Tutti a risciacquare i panni nell’ecosistema israeliano, fatto di Open Innovation, forte orientamento all’interconnessione fra le persone, efficace collaborazione fra pubblico e privato e presenza di capitali di tutto il mondo.

Proprio Tel Aviv, a fine 2022, è diventata base di un hub congiunto dedicato all’innovazione secondo l’intesa tra A2A e il fondo di investimento tecnologico israeliano Sibf. Obiettivo primario? Favorire la condivisione di know how ed expertise per la valutazione delle reciproche opportunità di investimento in startup, sia italiane che israeliane, con un forte focus sul tema della transizione ecologica.

Ma qual è stato il fattore scatenante dell’effetto Israele?

La “fame” (un mix potete di necessità e volontà) di evolvere per non estinguere, che ha a sua volta alimentato una politica volta all’innovazione, di cui oggi Israele è uno dei leader mondiali.

E qual è, allora, il substrato che ha reso possibile la costruzione di questo processo di innovazione?

Prima fra tutti, c’è l’unicità dello Stato, che ha da sempre rapporti ostili con i “vicini” di casa, ma che ha imparato molto più che a difendersi, diventando un modello di integrazione e civiltà con le sue oltre settanta etnie e tre grandi religioni. Valorizzando le diversità, ha già vinto la sfida per sopravvivere e per crescere economicamente, stimolando continuamente le persone a trovare – o creare – soluzioni, dalla convivenza alla gestione d’impresa. L’innovazione e la tecnologia sono lo strumento per realizzare tutto questo in un contesto di diversità, tolleranza e talento.

Poi c’è il fattore anagrafico: Israele è un paese giovane, sotto tutti i punti di vista, e questo permette a tutti gli attori dell’innovazione (scuola, associazioni di categoria, istituzioni, ecc.) di non ingessarsi in pratiche consolidate. Inoltre, un sistema educativo che funziona e la leva obbligatoria improntata allo sviluppo di competenze tecnologiche e manageriali (tre anni per i ragazzi e due per le ragazze) stimolano il piacere della cultura e l’istinto imprenditoriale, tanto che Israele sale al terzo posto sul podio dei Paesi più istruiti al mondo.

Evolversi per non estinguersi. Per Israele, essere sempre un po’ più avanti dei Paesi vicini, è una questione di sopravvivenza. Così facendo, la multiculturalità diventa il paracadute naturale di una straordinaria apertura internazionale che si concretizza nella grande propensione a collaborare con partner esteri per realizzare progetti innovativi.

Il tutto condito da azioni pubbliche mirate di supporto: lo Stato, infatti, finanzia la ricerca come nessun altro al mondo (4,54% del PIL investito in ricerca contro poco più dell’1% dell’Italia - dati 2019). Pubblico e privato sanno collaborare e marciare nella stessa direzione.

Con questi presupposti, il welfare aziendale non potrebbe non essere molto sviluppato. La “fede” nell’innovazione stimola le aziende a creare un ambiente vivibile, divertente e motivante, investendo tempo e risorse per il benessere e la felicità dei lavoratori.

D’altronde, “l’innovazione aperta è un gioco dalle mille sfaccettature”, ci rammenta Alexander Osterwalder, co-autore di Business Model Generation. Non esiste, dunque, un proiettile d’argento nell’arena dell’Open Innovation, ma molteplici approcci e modelli complementari mirati a obiettivi e orizzonti di innovazione diversi.

E l’Italia, come se la gioca questa partita?

Secondo l’ultimo rapporto annuale realizzato da Mind The Bridge, le aziende del Bel Paese sono sempre più aperte al modello dell’Open Innovation. A dispetto di questa incredibile propensione al cambiamento, sono davvero pochissime quelle che riescono ad attuarlo in maniera concreta ed efficace.

Cosa fa da freno?

Alla domanda specifica, il limite principale percepito dagli imprenditori intervistati riguarda la scarsità di risorse finanziarie (soprattutto per le società con meno di cinque dipendenti). Come facilmente prevedibile, fa poi capolino la sempre maggiore complessità burocratica nel partecipare a bandi pubblici che mettono a disposizione capitali di partenza importanti.

Purtroppo, la categoria dei credenti, ma non praticanti per via di questi due grandi ostacoli, è proprio quella delle PMI - piccole e medie imprese, che costituisce di loro la spina dorsale dell’industria italiana ed europea.

Risultato di questa analisi è che è l’identità stessa dell’Open Innovation a imporci un cambiamento significativo di visione: dopo l’era del modello unico e verticale, scatta quella dei modelli complementari multipli.

Non a caso, sempre più aziende italiane mettono piede nei principali centri dell’innovazione, aprendosi a forme di collaborazione mai sperimentate prima. Silicon Valley e Israele rimangono i principali bacini di questa pesca al progresso economico, ma prima di tutto culturale.

Prendiamo gli imprenditori della Silicon Valley: raramente mantengono il controllo della propria start-up dopo le exit, ma reinvestono continuamente il loro capitale finanziario, la loro esperienza, la loro rete di contatti e la loro conoscenza nella creazione di nuove imprese, in una sorta di “imprenditorialità seriale” che caratterizza il mindset (mentalità) di questa terra unica nei modelli di business.

Mentre la Silicon Valley si fa forza nel “patto di sangue” tra università e imprese (mantenendo il mercato statunitense come riferimento), l’effetto WOW di Israele vive nel perfetto allineamento di interessi tra startup, imprese, multinazionali, Governo e scuola (università).

Ciascuno mette qualcosa in più (investe) e ottiene di più. Una mentalità che, ad oggi, guida anche le scelte delle persone, oltre a quelle delle aziende.

Perché in uno Stato, come in un territorio, in un’azienda o in una famiglia, la chiave del successo sta proprio qui: nel raggiungere insieme ciò che ciascuno vuole raggiungere.

Direbbe Manzoni: “Un matrimonio che s’ha da fare”, per un buon oggi e un domani migliore.

Renata Cantamessa

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A GIUGNO?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare 2024" su Spreaker.
Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore|Premium