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Agricoltura | 12 giugno 2025, 06:01

“Stop agli impianti, spazio ai giovani, via a nuovi IGP”: Claudio Conterno indica la rotta per il futuro del vino piemontese

Il presidente della Cia Cuneo chiede decisioni urgenti su eccedenze, mercati e comunicazione. “Al Tavolo verde regionale del 30 giugno servono soluzioni tecniche, non discorsi ideologici. E i dazi non aiutano”

“Stop agli impianti, spazio ai giovani, via a nuovi IGP”: Claudio  Conterno indica la rotta per il futuro del vino piemontese

Il mondo del vino piemontese, oggi, sembra viaggiare senza timone. Tra cantine con esuberi, mercati fermi per dazi e problemi vari e una narrazione pubblica sempre più distorta, il settore rischia di entrare in crisi non per mancanza di valore, ma per assenza di strategia. Ne è convinto Claudio Conterno, presidente della Cia (Confederazione Agricoltori Italiani) Cuneo, che chiede una svolta concreta, fondata su interventi immediati e nuove scelte per il futuro.

Qual è il problema più urgente oggi per il comparto del vino?

“In questi giorni la Cooperazione ha diffuso i primi dati aggiornati: ci troviamo con circa 55mila ettolitri in eccedenza, riferiti in particolare a Barbera, Cortese e Dolcetto. Giovedì il Consorzio della Barbera d’Asti e dei Vini del Monferrato ha chiesto un incontro urgente per affrontare la situazione, e questo è solo l’inizio. È chiaro che, al momento, le criticità risultano più concentrate in alcune aree, ma il rischio è che si estendano rapidamente. Se non interveniamo con una visione chiara, ci ritroveremo presto tutti nella stessa condizione.”

La richiesta di convocare gli Stati generali del vino nasce da qui?
“Esattamente. Serve un luogo in cui affrontare i problemi nel merito, senza scorciatoie né retorica. È per questo che abbiamo accolto con attenzione la convocazione del Tavolo verde regionale per il 30 giugno. Ma vogliamo che sia un’occasione vera. Se si trasforma nell’ennesimo dibattito senza esito, o peggio ancora in uno scontro ideologico, allora non servirà a nulla. Dobbiamo parlare di cose concrete, ascoltando chi lavora davvero sul campo. Io lo dico chiaramente: se si riduce tutto a parlare di distillazione, io mi alzo e me ne vado.”

Quali sono le priorità da mettere sul tavolo subito?
“Tre, almeno. Primo: servono soluzioni pratiche e immediate per lo stoccaggio, ad esempio l’uso di serbatoi in acciaio, per evitare che le cantine esplodano. Secondo: va valutato seriamente un blocco temporaneo degli impianti di nuovi vigneti, salvaguardando però le aziende giovani che hanno già avviato progetti strutturati. Terzo: bisogna tenere sotto controllo la vendemmia 2025, evitando di peggiorare un equilibrio già precario. E poi, su tutto questo, occorre avviare una pianificazione a lungo termine. Altrimenti, continueremo a inseguire le emergenze.”

Ha parlato anche di un problema di comunicazione pubblica. In che senso?
“Viviamo una fase in cui il vino viene trattato come un nemico. Ogni giorno escono articoli che lo associano a rischi e patologie, senza distinguere tra abuso e consumo consapevole. L’ultimo esempio è il decreto sul codice della strada: ha inasprito le sanzioni, ma è stato comunicato come se fosse una rivoluzione contro chi beve. E così si è fatto passare il messaggio che un bicchiere di vino equivale a un comportamento criminale. È un errore gravissimo, che danneggia un intero comparto e alimenta disinformazione”.

Anche i dazi contribuiscono a complicare la situazione?
“Assolutamente sì. In particolare, i rapporti con gli Stati Uniti stanno vivendo una fase di incertezza. Gli importatori stanno alla finestra, in attesa di capire se ci saranno accordi o nuove tariffe. Questo clima di sospensione blocca gli ordini e sposta tutto più avanti. In un settore come il nostro, che ha bisogno di certezze e di pianificazione, anche un mese di attesa in più può fare la differenza.”

Che ruolo giocano le cantine sociali in questa crisi?
“Alcune cantine sociali si sono trasformate in veri e propri magazzini per l’agroindustria e fanno speculazione. Questo modello non è più sostenibile. Serve un ricambio generazionale, più formazione, più visione imprenditoriale. Ci sono esempi virtuosi, come Araldica o i Produttori del Barbaresco, che funzionano benissimo. Il problema non è la formula in sé, ma come viene gestita.”

Cosa suggerisce per il futuro del vino piemontese?
“Bisogna differenziare. Ci sono bisogni diversi e spazi di mercato per vini più leggeri, che possono interessare alcune zone del Piemonte. Anche con un nuovo IGP, da proporre con una comunicazione rinnovata e mirata. Abbiamo vitigni, territori e capacità per farlo. Ma bisogna scegliere. E bisogna farlo in fretta.”

Quale sarà secondo lei il criterio di scelta del consumatore nei prossimi anni?
“La qualità sarà ancora importante, ma non sarà più sufficiente. Il futuro si gioca sulla SOSTENIBILITÀ, e non intendo solo il biologico. Parliamo di un mondo intero: un’azienda dovrà dimostrare di essere sostenibile in tutto, dal trattamento del personale all’uso delle macchine, dai contratti agli standard ambientali. Serviranno certificazioni, ISO, trasparenza. Gli importatori stanno già chiedendo come affrontiamo questi aspetti. Non è più solo questione di prodotto, ma di impresa. E chi non è pronto, rischia di essere tagliato fuori. Nell’industria questo cambiamento è iniziato cinque anni fa. Ora è il momento dell’agricoltura".

Daniele Vaira

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