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Attualità | 06 luglio 2025, 09:23

Diocesi cuneesi “antiche”, alle prese con le sfide che i nuovi tempi impongono

La maggior parte degli ambiti territoriali risale al Medioevo o al Rinascimento. Le più antiche sono Alba e Mondovì, la più giovane Cuneo. Il riordino dei confini – in un processo di secolarizzazione inarrestabile e a fronte della progressiva mancanza di preti – andrà affrontato pur non essendo questo il problema principale

Diocesi cuneesi “antiche”, alle prese con le sfide che i nuovi tempi impongono

 Dal 1° giugno 2023, dopo la “fusione” tra Cuneo e Fossano, le diocesi della provincia di Cuneo sono rimaste quattro: Cuneo-Fossano, Alba, Mondovì e Saluzzo.

Divisioni territoriali che risalgono a secoli passati, in qualche caso con retaggi medioevali quando non addirittura precedenti.

La più giovane è quella del capoluogo. Cuneo, infatti, è stata istituita il 17 luglio 1817, con la bolla "Beati Petri Apostolorum Principis" di Papa Pio VII, istituzione che avvenne nell'ambito della restaurazione delle diocesi in Piemonte dopo le soppressioni napoleoniche. 

La più antica è certamente quella di Alba anche se mancano riferimenti storici precisi. Istituita in un periodo incerto, il primo vescovo di cui si ha certezza è Lampadio, che partecipò ad un sinodo romano nel 499. La diocesi, quindi, esisteva già in quel periodo. In passato, per un breve lasso di tempo, verso la fine del X secolo, fu unita alla diocesi di Asti. 

Come la conosciamo oggi, con i suoi confini attuali, la diocesi di Alba ha subito modifiche anche più recenti. Nel 1817, con la ricostituzione delle diocesi piemontesi dopo il terremoto Bonaparte, Alba ha acquisito i territori del Roero e della Langa oltre il fiume Tanaro.

Di epoca tardo medioevale è Mondovì, eretta l'8 giugno 1388 da papa Urbano VI con la bolla "Salvator Noster", scorporandola da quella di Asti, una decisione assunta in risposta ad una petizione presentata al papa dalla città e dal marchese Teodoro II del Monferrato.

Sono entrambe cinquecentesche le diocesi di Saluzzo e Fossano (ex) istituite  rispettivamente nel 1511 e nel 1592.

Se volgiamo lo sguardo a tutto il Piemonte, le diocesi hanno storie e origini molto diverse: alcune risalgono all'epoca antica (IV-V secolo), altre al basso Medioevo (XII-XIV secolo), altre ancora all'epoca moderna (XV-XVIII secolo) e una all'inizio dell'epoca contemporanea. 

Otto delle diciassette della regione ecclesiastica piemontese sono di origine molto antica, sorte tra il IV e il V secolo.   

La diffusione del cristianesimo in Piemonte iniziò infatti con Vercelli, sotto la guida del vescovo Eusebio, per poi estendersi a Torino.

Dopo questa premessa storica (per quanto sommaria) non si può non considerare quella che appare oggi una evidente, quanto anacronistica,  anomalia territoriale: la diocesi di Torino si estende a due delle “sette sorelle” della Granda, Savigliano e Bra, e a parte dei loro Comuni limitrofi.

Ma forse l’aspetto più singolare è quello di Levaldigi, un tempo Comune e oggi frazione di Savigliano, che fa parte della diocesi di Fossano e non di Torino com’è invece per il Comune capoluogo.

Così come la parrocchia del Comune di Moretta, significativo centro industriale ad un tiro di schioppo da Saluzzo, fa parte della diocesi di Torino, mentre Ruffia, piccolo paese rurale a due passi da Savigliano, è diocesi di Saluzzo.

Analoghe considerazioni si potrebbero estendere a Dronero e ai paesi della valle Maira, in tutto e per tutto gravitanti su Cuneo, ma che invece storicamente fanno parte della diocesi di Saluzzo.

Da decenni si sente parlare di un riordino territoriale, ma finora nessuno ha trovato la volontà di mettervi mano, non sapendo bene forse da che parte afferrare il bandolo della matassa.

Eppure la storia lo imporrà per elementi ineludibili, a partire dall’avanzato processo di secolarizzazione, andato accentuandosi in questi ultimi anni. 

Inoltre, la penuria di preti imporrà scelte drastiche che fino a questo momento solo la diocesi di Cuneo, tramite il suo vescovo Piero Del Bosco, ha parzialmente cercato di affrontare iniziando ad accorpare alcune parrocchie.

Tuttavia, a voler essere ficcanti, il quesito sostanziale, che riguarda anche una provincia di forti tradizioni cristiane qual è la nostra, è ancora un altro e trascende gli aspetti geografici e organizzativi.

E allora, provocazione per provocazione - laicamente e senza voler invadere territori altrui - la domanda potrebbe essere più o meno questa: oltre alla tradizione secolare che cosa permane oggi della fede dei nostri padri nella “bianca” e cristiana provincia Granda?   

Giampaolo Testa

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