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Curiosità | 01 maggio 2016, 15:53

Jeeg robot: “romanzo criminale d’un antieroe”

Jeeg non sa perché è diventato Jeeg e Fabio gli rapisce la ragazza, sorta d’Ofelia post-moderna, per portarlo a condividere il calice di quel successo che il primo neanche vuole, silenzioso e retorico come tutti i miti popolari

Jeeg robot: “romanzo criminale d’un antieroe”

 

Inseguito dalle “guardie” in una Roma che sembra il negativo di quella di Sorrentino ne “La grande bellezza” il giovane criminale Santamaria si tuffa nel Tevere per nascondersi e finisce per caso in un barile di liquido radioattivo che lo dota d’una forza sovrumana.

Inizialmente usata per scardinare un bancomat tale forza risveglia un tardivo anelito morale in quello che la figura femminile del film ( una bella e problematica ragazza con passato di violenze ossessionata dai cartoni animati giapponesi) ribattezza Jeeg Robot. La vicenda si intreccia con quella di Fabio (un sorprendente e straniante Luca Marinelli), boss di periferia con alle spalle una dimenticabile comparsata a Buona Domenica che vuole fare “il botto” aumentando il volume dello spaccio grazie ai soldi d’un clan della Camorra. Ma ci penserà Santamaria-Jeeg Robot a guastargli i piani.

Fra palazzine marce e interni post-apocalittici, film porno e improvvisi lampi di violenza, il seducente Fabio trasforma la sua delirante ascesa al potere in una battaglia a due con Santamaria a colpi di visualizzazioni su youtube e un disprezzo per la vita degno d’un Caligola in acido.

Più deuteragonista che rivale è lui la rivelazione del film, coi lustrini da polvere di stelle e l’amore per il pop stonato della Bertè, rappresenta l’altro lato (fanfarone e cinico) della romanità impassibile e sociopatica di Santamaria.

Jeeg non sa perché è diventato Jeeg e Fabio gli rapisce la ragazza, sorta d’Ofelia post-moderna, per portarlo a condividere il calice di quel successo che il primo neanche vuole, silenzioso e retorico come tutti i miti popolari. Scovato dal clan, verso cui ha ormai un debito insaldabile, cade morto nel Tevere per poi rinascere dallo stesso fusto radioattivo, truccandosi come Joker, o più coerentemente come la Loredana nazionale.

Ofelia muore, com’era prevedibile, e mentre i due super(anti)eroi si sfidano alle porte dell’Olimpico durante un derby fatto solo di echi, il Bene trionfa infilandosi la maschera fra titoli di coda su un campo lungo crepuscolare che sfuma nella voce di Claudio che ricanta la celeberrima sigla del cartoon con piglio cantautorale (fu Rino Gaetano in una fiction Rai).

Anti-marveliano, mai banale, a tratti commovente, “lo chiamavano Jeeg Robot” merita la strage di David di Donatello che ha fatto, anche nel segnare la differenza tra la matrilineare e strutturata camorra napoletana contro la caciarona e più individualista delinquenza romana.

Un appello al bravissimo Mainetti: fare un seguito di questo film significherebbe distruggerlo e costringere il sottoscritto a mangiarsi il proverbiale cappello à la Rockerduck di Walt Disney. Per restare in tema di cartoon.

Ps: Non è stato facile scrivere questa recensione senza nominare neanche una volta P.P.Pasolini

Germano Innocenti

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